Sotto il casco con Eliana Maria Lorena

Ti piace il design della FIAT 500? Intervista alla designer che l'ha progettata insieme ad altre 1000 cose

Progetto UNICO di Eliana Maria Lorena
Progetto UNICO di Eliana Maria Lorena

Ho conosciuto Eliana Maria Lorena quasi per caso in una domenica di inconsueto relax davanti al bar-ristorante-ritrovo appena inaugurato a Milano da due giovani designer che, stanchi di precariato, si sono dedicati all’altra loro grande passione: la cucina (ma questa è un’altra storia…).

Questo bel personaggio poliedrico e iperattivo quel giorno mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta con i suoi racconti sul mondo del design, il suo progetto per la riedizione di FIAT 500, i suoi studenti coreani e persino le sue barbie d’artista

Colori FIAT 500 di Eliana Maria Lorena
Colori FIAT 500 di Eliana Maria Lorena

Piemontese di origine e milanese di adozione, Eliana Lorena si avvicina negli anni Settanta al mondo del design seguendo un fondamentale apprendistato da Elio Fiorucci. Dal 1979 al 1987 coordina il gruppo di design dei materiali dello studio CDM di Clino Castelli. Sono anni in cui incontra Antonio Petrillo, Andrea Branzi, Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Nanni Strada, Mario Bellini, Enzo Mari, Gaetano Pesce e molti altri ancora, collaborando ai loro progetti per l’ufficio, la casa e l’automobile.
È alla fine degli anni Ottanta che apre il suo studio di progettazione con Aldo Petillo dove dirige la sezione di colore e ricerca sui materiali innovativi e le strategie di comunicazione. Per molti anni ha lavorato presso il Centro Ricerche di aziende come PPG, Fiat, Lancia, Vitra, Cassina, Montell-Shell, Mitsubishi sul tema della sensorialità e del design primario.
Come designer collabora con importanti aziende tra cui Fiat, Piaggio, Lancia, Mandarina Duck, Moncler, Zucchi, Lualdi Porte, Nava Design, Luceplan, Seibu Shinkin Bank.

E così le ho fatto qualche domanda…

Dall’inizio della tua carriera ad oggi hai conosciuto molti grandi designer e artisti italiani. Quali sono i tuoi ricordi più belli, le immagini e le parole più preziose che ti porti dentro?

Ho avuto incontri incredibili in una comunità osmotica. Gli anni settanta e i miei venti anni… Prima da Fiorucci, dove trascorrevo le giornate a raccogliere le prime idee sul design e una professione totalmente nuova e sconosciuta ai più. Andrea Branzi e Ettore Sottsass li ho incontrati lì la prima volta nel 1977. C’era una energia e una radicale voglia di cambiare.

Le parole che ho imparato erano tutte legate al colore, ai pattern, alla grande fantasia e ottimismo che facevano di Milano il centro di tutto quello che l’industria aveva la forza di far nascere. Immagini nitide di una visione poetica della vita che si leggeva nell’arte, ma anche nelle merci. Fiorucci in via Torino aveva aperto un concept store che affittava spazi a giovani stilisti e agli studenti di Brera. Keith Haring aveva decorato le pareti del mitico Fiorucci Store di S. Babila con spray giallo acido e rosa effervescente.

Un altro ricordo sono gli abiti sonori di Alchimia nelle vetrine: performance che battevano sul tempo le altre metropoli del mondo. Quindi gli anni Ottanta con esperimenti tra teatro, musica e Memphis che hanno rivoluzionato per sempre le logiche della produzione di oggetti tangibili e non.

Progetto Eat tavola di Eliana Maria Lorena
Progetto Eat tavola di Eliana Maria Lorena

Come ti sembra cambiato il panorama nel nostro Paese e quali sono secondo te i giovani designer più promettenti del momento?

I giovani designer più promettenti sono quelli che ogni anno seguo nei miei workshop in Domus Academy: i giovani studenti italiani sono molto attenti e creano un circolo virtuoso negli esercizi didattici e di ricerca tale per cui ogni esperienza di insegnamento è per me una sorta di nutrimento.
Il panorama italiano e milanese è molto mutato. I giovani non sono così rispettosi dei maestri come lo siamo stati noi nati negli anni cinquanta. E forse oggi per loro  questo è più facile: i grandi guru del design hanno lasciato il posto e nelle redazioni si respira un cambio generazionale. Mi piace Paolo Ulian e mi intriga il suo approccio al progetto consapevole e sostenibile.

Progettare con l'aria di Eliana Maria Lorena
Progettare con l'aria di Eliana Maria Lorena


Una domanda un po’ difficile: credi che anche in questo settore, come in molti altri, le donne abbiano più difficoltà a emergere?

Sono una designer dei materiali e sono una donna che ha faticato moltissimo, che nella professione ha spesso lavorato per gli uomini e soprattutto nell’ambito automobilistico ha sempre respirato un’aria quasi ostile alla sensibilità femminile.

Il lavoro per me è terapeutico e non stacco mai, ultimamente però voglio tenere molto tempo per pensare e scrivere. Emergere dipende dalla fortuna e purtroppo i giornali hanno redattrici donne che amano, come è naturale, i protagonisti maschili più che il proprio genere. Ma mi piace credere che le distanze si stiano accorciando. In ADI (Associazione per il Disegno Industriale) la conduzione è nelle mani di Luisa Bocchietto che sicuramente ha i piedi ben piantati nella realtà del progetto innovativo.

Tu che insegni in scuole di design di tutto il mondo, che differenza noti tra gli studenti di design italiani e stranieri? Quali vantaggi e svantaggi credi abbiano i giovani designer italiani oggi?

I vantaggi di avere un background italiano sono moltissimi. Si pensi al distretto milanese ma anche a tutti quelli intorno a città come Torino, Firenze, Venezia, Bologna, Napoli e Palermo. La cultura “del bello” e “del fare” sono una opportunità per gli italiani e comunque le industrie si sono fatte paladine di una internazionalità del progetto in tutti i settori, in particolare nell’arredo e nella produzione in scale architettoniche molto differenti.

Gli studenti stranieri spesso sono motivati e hanno grandi ambizioni. Mi è capitato di rimanere stupita per la loro formazione completa sia per l’aspetto del disegno che della metodologia complessiva. Parlo di studenti  americani, coreani e giapponesi. Però ho un debole per gli studenti italiani che hanno una formazione umanistica. Come diceva Magistretti, grande capostipite conosciuto negli anni del Centro Ricerche Cassina, la vera differenza del design italiano sta proprio in questa commistione di narrazioni. Il background scientifico degli architetti con la volontà di raccontare storie e metafore. Ma anche, come mi capita di pensare da un po’ di tempo, la naturale propensione a rischiare.

Mostra I colori del design di Eliana Maria Lorena
Mostra I colori del design di Eliana Maria Lorena



Quale progetto ti ha dato maggiore soddisfazione e perché?

Non c’è un progetto in particolare, c’è la consapevolezza che “da cosa nasce cosa”: mi sembra che ci sia un filo conduttore che da quando ho conosciuto Bruno Munari, attraverso i suoi fondamentali libri e lavori, mi ha accompagnato sino al 1992 quando ho lavorato con lui per i laboratori per l’infanzia. Ogni passaggio logico di quegli anni mi ha dato lo spirito giusto e forse la maggiore soddisfazione l’ho vissuta quando sono stata presentata ad un convegno di  design come sua allieva.
In realtà amo ricordare un percorso infinitamente ricco di incontri e di grandi maestri: Castiglioni, Mari, Castelli, Pesce, ma anche di mecenati che credevano in me e nella mia passione, l’ingrediente fondamentale per affrontare il precariato dell’essere designer in Italia.
Ad esempio in Fila un capitano d’azienda conosciuto in Mandarina Duck che mi ha fatto governare un catalogo per lo sport con una mappa cromatica sia virtuale che reale progettata interamente da me in Europa, prodotta in Asia e venduta in tutto il mondo. O anche il primo progetto di Form Follows Material che con pellicole di plastica mi aveva fatto scoprire che la materia è la vera essenza del mio modo di progettare, capovolgendo il paradigma che fa prevalere la funzione.