Pensare che puoi fare la differenza è IN…

Basta un detrattore ben assestato ed allenato, e la tua vita può cambiare radicalmente in un solo sordido istante...

Ritrovarsi senza amici veri a vent’anni, ad un certo punto fa scattare in te la convinzione che la colpa non può essere soltanto degli altri.
Crescendo, quindi, credi che sia tu a doverti aggiustare al mondo, non il contrario, (basta un detrattore ben assestato, e la tua vita può cambiare radicalmente in un solo sordido istante).
Così ti sforzi, ricerchi il compromesso, ti fai andar bene certi sacrifici per certi favori, fino a che, qualche tempo dopo, ti ritrovi comunque sola e lontana dalla vi(t)a maestra che descrive ciò che eri, che stai facendo e che volevi essere.
E in un attimo sono passati dieci anni prima che tu possa renderti conto di un’ovvietà: sicuramente sarà difficile cambiare il mondo, un po’ dovrai piegarti, o come preferisco dire, aprirti ad esso, ma dovrai anche credere che puoi fare la differenza.
Insomma non è solo tutta colpa degli altri, ma nemmeno tutta colpa tua.
Un famoso detto (africano, credo) recita: if you don’t think you can make a difference, try sleeping in a room with a mosquito. Una metafora semplice quanto efficace: pensa che vitaccia avrebbe, la zanzara, se avesse la capacità di riflettere e di sottostimare se stessa.
In un mondo fatto di giganti, la zanzara non ha alcuna possibilità di riuscita! Eppure eccola lì, che s’inciccia e prolifera con un banalissimo e sottilissimo aghetto, eccola che ci disturba, in quanto causa delle nostre peggiori notti insonni dopo le bollette da pagare. Quindi non sentirti presuntuoso se pensi che qualcuno ti invidi, probabilmente è vero.
Tutti noi abbiamo almeno una persona che ci invidia e una che ci ama, e una che ci detesta, e una che ci snobba. E’ ovvio, non può che essere così, è statistico. E se state ribattendo a denti stretti, borbottando, che non avete nulla per cui essere invidiati, vi sbagliate di grosso; basta prestare uno sguardo alla nostra cronaca nera, o, senza andare a pucciarci nel crudele, le risse davanti ai banchi dei saldi di primavera

E’ il minimo, in un mondo che è un costante spettacolo all’aperto. Persino una persona tanto irrilevante quanto sconosciuta alla nostra vita, come un cliente o un collega, potrebbero esserlo.
Alle volte, il più delle volte, il problema non sei tu, il problema è quello che tu comunichi e rappresenti.
Gli psicologi non ne fanno mistero!
It’s unnerving when someone sees you more clearly than you do, dice Liz Gilbert.
Infastidisce quando una persona che nemmeno conosci (e più lontana da te e meno simile a te è, peggio è), sa leggere i tuoi comportamenti fornendotene persino una spiegazione dettagliata, completa di etichetta con istruzioni per il lavaggio, la scoloritura e la tintura. Chi non lo sa? Chi non ci è passato?
Una volta le donne con questi poteri venivano messe al rogo, ora sappiamo che è solo intuito o, molto più razionalmente parlando, l’esserci passati prima e il saperlo riconoscere a naso.
In realtà sapete benissimo dentro di voi che basta davvero poco per meritarsi l’invidia altrui. Potrebbe essere l’entusiasmo che porti in un luogo di lavoro ormai spento, dove spiccare sugli altri potrebbe essere visto come un golpe di scrivania. Potrebbe essere il tuo fantastico culo tondo e marmoreo sbattuto in chiappa ad un culo molliccio e amorfo, l’affronto peggiore alla gara a chi si spupazza l’istruttore più sexy…

Ognuno di noi ha un suo motivo per essere invidioso, anche banale, e la società capitalista non ci aiuta affatto nell’evitarlo, altrimenti perché orde di donne avrebbero bisogno di chirurgia estetica e fashion stylist? Di grazia ditemi: da quando abbiamo disimparato ad abbinare il colore della camicia con la gonna e le scarpe con le calze?
Non vorrete farmi credere che c’è chi è nato con il buon gusto e chi no. Forse anche sì, ma il buon gusto si allena, come l’orecchio. E il palato. Non esistono persone stonate, esistono persone che non sentono bene. Chiedetelo ad un maestro di musica, vi risponderà così.
E non ditemi nemmeno che il capitombolo è cominciato quando le nostre scelte si sono drasticamente allontanate da una sola anta dell’armadio, perché non ci credo. E’ stato indubbiamente testato che il troppo stroppia, cioè che l’eccessiva libertà di scelta confonde il consumatore, e il poco tempo e i continui e ricchi mixed-messages con cui ci bombarda il mondo esterno, non aiutano granché, però no, non voglio credere che abbiamo davvero bisogno dell’intervento di una Carla Gozzi e di un Enzo Miccio per uscire di casa, o di un libro di Volo per sapere come diavolo riflettere.

Eppure non abbiamo fatto a tempo a comprare l’ultimo ritrovato della tecnologia, che siamo già su eBay a piazzarlo per poter fare la coda, l’indomani, presso lo store, per accaparrarci il fiammantissimo, e in tutto e per tutto quasi identico al vecchio, nuovo modello.
Così finisce che a trent’anni ci sentiamo già vecchie perché gli uomini della nostra età ora guardano appena al di qua della pedofilia.
Siamo così ossessionati dall’avere, che più abbiamo più desideriamo. E non ci fermiamo.
Probabilmente l’intero sistema lavorativo è stato costruito su questo meccanismo: lavora più che puoi, così puoi permetterti la tua perfetta gratificazione effimera del mese e dopo, potrai continuare a lavorare con spirito leggero e appagato, fino alla prossima nuova gratificazione effimera del mese. Una corsa contro il tempo e contro l’invidia che ci porta fuori dal sentiero della nostra vera soddisfazione personale, ben più alta.
Il raggiungimento di quegli obiettivi definitivi, che qualche pazzo chiama ancora ‘sogni’, a cui non diamo più retta da quando siamo sommersi dai debiti e dalle blandizie del Signor Denaro.
Mica per niente le persone più felici sono quelle che possiedono meno, e che vivono lontane dal Sistema, libere da ogni tentazione. Banale forse? Però vero. Certo, facile cercare di raggiungere le proprie aspirazioni quando sei fuori dal Girone dei Golosi, è come potersi aprire un negozio di abbigliamento proprio, a vent’anni, perché è (famous & rich) paparino che pensa a tutte le spese collaterali (che poi, non voglio dire che lei e chi per lei non necessitino di farsi o non si siano comunque fatti il culo per arrivare dove sono, ma non si può dire che il suo company name non abbia aiutato, quantomeno in fase di startup!).
Che poi, avere un appartamento all’Inferno non è una buona scusa per non provarci. 
C’è chi lo fa, quindi perché non tu?
Forse il discorso del carpe diem è più complicato di quanto volessero farci credere. Non si tratta di prendere tutto ciò che viene così come viene, ma di aprirsi al mondo con l’obiettivo di rendersi disponibili a tutte le vere e splendide opportunità che esso offre. La differenza è sottile ma sostanziale: non siamo vasi da riempire, siamo fiaccole da accendere, disse Lucrezio. Quindi il carpe diem non può essere il motto che giustifica tutte le libertà che ci vogliamo prendere, una specie di cartellino ‘fuori gratis di prigione’ per tutte le nefandezze e sregolatezze della vita. Sì la vita è bella e breve ma dove sarebbe il senso nobile in tutto questo?

Crea il tuo obiettivo e carpe diem into it: cogli tutte le opportunità che ti portano verso di esso.
E poi: offerta chiama offerta, il percorso verrà da sé.
Più di una volta mi è successo di sentire un attore dire che da bambino avrebbe voluto fare il pompiere o chessò io, beh può sembrare buffo ma quella è una persona che è uscita dal proprio percorso. Solo che non ci verrà mai in mente di compatirlo perché il mestiere dell’attore è da tutti considerato uno spasso.
In fondo parte del loro lavoro è non dircelo, sarebbero degli schifosi ingrati per noi, (ma innanzitutto i loro agenti non esiterebbero a scaricarli su due piedi). Eppure magari lui non è poi così felice come deve far credere.
Kurt Cobain ha smesso di esserlo.