Vent’anni sono IN? Eppoi?

A venti sei carta bianca, plastilina integra, non c’è ancora una vera abitudine radicata. Nessuno viene a depredarti...

Non sono mai stata una ventenne incallita. Forse è che faccio parte di un’altra generazione, ma non sono mai stata molto sveglia con i ragazzi. Istruita presto, consapevole di me anche, ma mai capace to act on it.
Non mi andava di farlo, non pensavo a come farlo, non sapevo come farlo. Bastava farlo.
Ma non lo feci. Fino ai miei quasi mid-venti. E ora, penso a tutte le occasioni che ho perduto e che ora continuo a perdere, ma per la ragione opposta: mi sento vecchia.
Dovrei recuperare tutto il tempo andato, le occasioni sfumate, e invece sto qui a cincischiare perché non ho (più) l’età?!
Gigliola Cinquetti non vedeva l’ora di crescere, io invece non vedo l’ora di regredire!

Dovrei recuperare tutto il tempo andato
Dovrei recuperare tutto il tempo andato

E quante situazioni mi sono giocata solo per questa stupida scusa. Sì, lo è.
Perché non c’è logica in questa idea.
Che cosa mi sarebbe vietato ora che era passabilissimo se non ovvio o raccomandato a venti?
Vediamo: l’ubriachezza molesta?
Il sesso casuale e non protetto?
Le canne?
L’interrail?
Innamorarsi e fuggire in Thailandia?
Al di là del fatto che l’interrail abbia il limite d’età fissato a venticinque, non c’è niente, in questa lista, che il medico non prescriverebbe.
Presumendo che sia molto user-friendly, chiaro.
Cioè, droga e alcool fanno male comunque, ma al diavolo, è la società che decide che cosa sia appropriato spararsi ad una certa età e cosa no, perché maturità fa rima con seriosità e responsabilità non fa rima con canne. O con vodka. O con cotta (Gnegnegne).

Cosa avranno mai da dire due cifre?
Cosa avranno mai da dire due cifre?

Uff, che barba.
Cosa avranno mai da dire due cifre messe una in coda all’altra?
Quanto sarà mai importante un numero su un pezzo di carta?
Lo dico continuamente e sono contenta di come me li porto, e tutti mi dicono pure che non li dimostro, eppure…
Eppure mi basta una situazione fuori dal comune, il blaterare di un’arpia, e divento piccola come una formichina.
A vent’anni si deve vivere la vita mentre poi se ne devono imparare tutte le lezioni…
Ma che vuol dire questo?!
Che non possiamo anche noi amare, soffrire, rimanere fregati o delusi for what matters?
Dovremmo forse aver imparato ad essere più furbe e fiere?
O solo più dure e distaccate?
In realtà il distacco è proprio di quando ti stai godendo la vita. Assurdo ma (tadaaan!) vero; sei talmente perso in ciò che ti sta accadendo, che manco te ne accorgi; ovviamente non è freddezza, è un semplice lasciarsi andare al fluire, un non trattenere niente (il contrario della cellulite, AAARGH!!!), un saltellare di fiore in fiore.

Lasciarsi andare dal fluire...
Lasciarsi andare dal fluire…

E a vent’anni è tutto un continuo saltellare di fiore in fiore (di nome Andrea, Giovanni, Claudio…).
Basta ricordarci quanto poco ci mettevamo a rimetterci in piedi dopo ogni amore spezzato.
Io poco. Ora ce ne metto decisamente di più. Forse perché ci credo di più, e dato che nei miei vent’anni non sono mai stata particolarmente precoce, presente o saltellante, magari c’è che non ho ancora imparato a discernere. Con il passare del tempo, abbiamo cognizione e fermezza, la certezza di ciò che siamo e vogliamo avere, e grazie alle precedenti esperienze, anche la certezza di ciò che non vogliamo avere, ma non significa che non possiamo tuffarci a capitombolo, credere in un amore profondo, stare da cani per una cotta bruciante come un taglietto della carta.
Capita.
Caspita!
Siamo più deboli?
Dovremmo per caso vergognarcene? Io me ne vergogno.
E poi mi dico: ma perché?
Ci ho creduto, è questa la mia vergogna?
Sono andata là fuori e mi sono buttata, ho lottato: ho vissuto.
Ho aperto il cuore. Che non è esattamente come saccheggiare una scatola di cioccolatini, n’est pas? Quando ti mangiano un pezzo di cuore, senti dolore. Ma, come diceva un mio twitteriano, “il cuore: o lo apri o si spacca comunque”.
A tutte le età. Perciò, meglio aprirlo e far vedere che c’è dentro, meglio essere i porno-attori del proprio cuore, almeno in quel caso, almeno una volta.
In un certo senso forse sì, siamo più deboli dei nostri io ventenni, perché siamo più presenti.
Sentire a vent’anni significa provare molte sensazioni ma confuse ed imprecise emozioni.
Gli amori a trenta sono vere e proprie scommesse, dilapidazioni dell’io. Gli amori a quaranta sono misteri che si svelano, situazioni che si intrecciano e si dipanano, c’è la logica che lotta con lo stomaco; non esistono cognizioni di questo tipo prima!
A venti/trenta è tutto un provare, uno sperimentare, senza sapere bene come; è uno spiralare, un andare avanti e poi oltre verso il successivo, senza mai sapere bene dove dover arrivare, che cosa dover cercare, trovare, sentire.
Non so, am I wrong?
Sentire ora, con ciò che si sa di sapere, è per una donna l’amplificazione vera e propria dei sensi, la conferma di molte logiche, la morte di alcune sue sicurezze.
E non è mai facile cambiare stili di vita e abitudini, lo sappiamo. Specie se non sei tu a volerlo ma è qualcuno che ti ci spinge, e non ha bisogno di chiedertelo o di farlo, ti ci spinge con il suo solo esserci, con il suo proporre se stesso a te.

Se non ora, quando?
Se non ora, quando?

È più facile sposarsi a vent’anni, paradossalmente forse, che non a trenta o quaranta.
A venti sei carta bianca, plastilina integra, non c’è ancora una sola vera abitudine radicata in te. Nessuno viene a depredare spazi che sono effettivamente tuoi, a spostare i tuoi ricordi e i tuoi oggetti per far spazio ai suoi, cercando una qualche fusione a metà tra il compromesso ed il buon gusto; a vent’anni la condivisione è pura sorellanza e gioia di vivere, mentre poi, con il tempo, tutto diviene pura orticaria