Insegnare la responsabilità. Imparare a dire no.

Ovvero, come imparare a rendere più responsabili i nostri figli, resistendo all'istinto di mamma chioccia.

(sottofondo musicale: “strade”_Subsonica)
Oggi mi sono presa un collasso grande come l’Irlanda.
Mi chiamano da scuola di Mina; era la maestra. Che all’inizio mi ha pure detto “no no, tutto bene” e allora io mi sono anche calmata. Poi però quando ha continuato con “si è solo bucata un dito con le forbici”; lì mi sono vomitata la serenità di sei mesi.

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Non c’è verso. Puoi fare la madre contemporaneissima, ma poi arriva la botta e tu hai solo voglia di scappare dal lavoro e andare a prendere in motorino:
– il Primario del Bambin Gesù
– un Papa a caso (credo prenderei quello che abita a S. Pietro, visto che mi è più di strada.)
Poi correre, entrare nella classe della tua principessa, ribaltare tre banchi monoposto, urlare parole a caso, fare giustizia da sola, prendere la figlia e coprirla con quella coperta catarinfrangente che si vede nei film polizieschi. Che poi, in realtà, sarebbe una coperta super termica, quindi caldissima, ma tu gliela vuoi mettere lo stesso anche se fuori fanno 25 gradi.

Poi mi sono ridimensionata.
Ho pensato solo di andare lì, senza Primario e senza Papa.
Poi però la beffarda considerazione riguardo un’ipotetica figura di merda per tutto l’ipotetico casino che avrei suscitato, mi ha portato a considerare solo la presa anticipata della nana da scuola.

Poi mi sono ricordata che oggi è il pomeriggio del papà e ho rosicato.

Da qui in poi per mezz’ora ho fatto altre ipotesi, mille ipotesi.
Non starò qui a descriverle, altrimenti l’articolo mi si trasforma in un’umiliante lista dell’“avrei potuto fare”;
La cosa che mi preme dire è un’altra.

Ora il problema risulterà spiegarla in maniera lineare.

Ma ci provo.

Credo che a un certo punto della vita dei nostri figli, il genitore deve cominciare a fare quei famosissimi passi indietro.

Ovvero. Si deve cominciare a non biasimare le loro difficoltà e questa cosa più viene fatta in primipara età, meglio è. Mai nessuno vorrà un figlio che a diciotto anni ancora ti chiede i 5 euro per il sabato sera (cinque, magari… Minimo quindici!).
Almeno non io.
Dall’altra parte però, è anche complicatissimo rimanere impassibili davanti alle difficoltà dei nostri bambini, grandi o piccoli che siano.
Non essere la loro chioccia, la loro roccia o, nel mio specifico caso di oggi, non essere la fatina infermiera super magica che guarisce qualsiasi taglio sulle dita con un bacio e un gelato gigante. Se fossi andata a prendere mia figlia e mi fossi fatta vedere durante il pomeriggio del papà, avrei sconvolto ogni dinamica e qualsiasi equilibrio.
Le possibilità comportamentali sarebbero state due:

#1 MADRE ANSIOGENA: Margherita esce da scuola. Vede il padre. Vede me. Pensa “perché c’è mamma?”. Fa due più due. Si guarda il dito sicuramente già guarito. Comincia a lagnarsi e a portare alta la bandiera della sofferenza post taglio.

#2 MADRE EQUILIBRATA, MA TRATTENUTISSIMA: Margherita esce da scuola. Vede il padre. Non vede me. Il padre le chiede “ma il dito?”. Lei risponde “boh”.
Fine della storia.

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Per questo non ho fatto nulla anche se con la morte (e ansia a stecca) dentro.

È difficilissimo, ma sono assolutamente convinta che essere una mamma sia anche questo: sia concepire il fatto che l’erede possa vivere degli inferni più o meno grandi, ai quali noi non possiamo arrivare, né fisicamente, né umanamente. Perché oggi è un graffio, ma forse domani sarà un amore sbagliato o un licenziamento e allora lì che fai? Schiaffeggi lo stronzetto di turno? Crei una piazzata stratosferica al datore di lavoro?
Eh no! (peccato, ma no.)

Ora sono piccole e paffute creature tutte tue. Dormono come angioletti, sono abbastanza autosufficienti per non dover più entrare in bagno con loro, sembrano perfetti e questo è proprio il fattore X che frega. Perché poi quando crescono, noi non ce ne accorgiamo e pensiamo che rimarranno sempre e per sempre così.
E loro se ne accorgeranno e ci schiavizzeranno, perchè si sa, tutti figli nascono con l’unico scopo di schiavizzare i genitori, è un dato di fatto.
Credo lo dica anche Darwin.
.

Allora io per prevenire il secondo tempo dello schiavismo genitoriale, ovvero l’adolescenza, sto facendo delle cose che mai avrei pensato poter fare.
Secondo me neanche la mamma più cool della Finlandia, che porta al parco a meno cinquanta gradi il figlio, farebbe mai.

Tipo:

La domenica ho sonno e voglio dormire. La colazione amoruccio mio te la prepari da sola, sei grande, tanto vuoi sempre quello sfigato dello yogurt alla fragola e allora, ma perché mi dovrei alzare? Per levarti la linguetta?!
No tesoro mio
.

In piscina, ovviamente sempre a metà della lezione, ti scappa la pipì. Io l’avevo detto che forse, ma forse, sarebbe stato il caso di farla prima. Ma tu vuoi fare la dura, la regina delle trattenute, solo che poi con l’acqua a contatto ti senti male.
Amoruccio al bagno ci vai da sola, io bevo il caffè.

Sono piccoli NO e piccoli passi indietro.
Fondamentali, preparatori, così speri di non avere almeno la figlia-mollica. Ovvio, poi mai dire mai, ma almeno tu lo sforzo di lavorare su come corazzare la tua dolce erede, l’hai fatto.
Io lo sto facendo.

(Momento metafora:)

Come quando entri per la prima volta in banca.
Come quando firmi il tuo primo conto.
Come quando ti danno il pin.
Lì il direttore non ti coccola, non ti offre pane burro e marmellata. Non ti chiama piripinoamorucciomio. Ti dice come stanno le cose, cosa devi fare, quando, quanto e come.

E nei giorni seguenti, poi, ti lascia solo con la tua connessione del cacchio e con il tuo non riuscire a fare il primo bonifico online, ma che devi fare altrimenti ti scade la rata dell’università.

In quei momenti anche se sei disperato ti senti per la prima volta grande, grandissimo.

Forse sai che stai rischiando una multa e di solito cose del genere succedono solo ai tuoi genitori, ovvero prendere le multe, quindi se sta succedendo anche a te, un po’ forse sei grande.
E stai lì e lotti nel silenzio della tua stanza con il sistema bancario e non solo; e non puoi occupare un’aula, non puoi andare in piazza a manifestare.
Devi solo pagare e pure in fretta.
E più ti senti solo, povero e Calimero, più sai di essere adulto e questo ti scatena adrenalina, endorfina e potassio. E tutto sai che potrebbe essere risolto dal tuo direttore della tua banca; e lui potrebbe, potrebbe farlo eccome, ma non lo farà.
Mai.

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Tu mamma sei come il direttore di una banca.
Potresti? Si, certo. Ovvio. Ma sarebbe giusto?

Perché tu sai di poter regalare tutta la protezione del mondo a tuo figlio, puoi andare a salvarlo pure sull’Himalaya; sei tutto. Puoi fare (per lui) tutto. Tranne una cosa; tranne regalarle la schicchera dell’essere grandi.
Del cavarsela da soli.
Della consegna del testimone.
Del petto gonfio d’orgoglio.

Come quando l’hai sentita tu.