Lasciare la figlia di nove anni a vivere da sola: colpevole o innocente?

Il caso della madre che si trasferisce in un'altra città e lascia la figlia di 9 anni a vivere da sola ha fatto molto discutere, ma possiamo davvero giudicarla?

(sottofondo musicale: “I’ve Got To See You Again” Norah Jones)

Eccoci. Torna settembre, torna il tempo in cui tutto ricomincia. Il grande capodanno agostiano è passato, le buone intenzioni sono state scritte e le paure ritornano. Paure? Oh sì, paura di non riuscire a superare anche questo inverno senza fare qualche cazzata o senza dimenticarsi di godersi la vita, che è una sola.

Oggi avrei voluto scrivere il racconto divertente della prima settimana di prima elementare di mia figlia, del fatto che l’ho scoperta già a fare la ruffiana con la maestra, motivo per il quale ieri sera me la sono bevuta tipo “ma ti pare che ti metti al primo banco, Mina! Eh no! Questo no!!!!”

Volevo scrivere di come e quanto capisci chi sei con gli occhi di una figlia che entra da sola la prima volta dentro una stanza che si chiama classe.

Ma non lo faccio. Volevo essere scema, ma non mi va, perché la mia cara e dolce caporedattrice, nonché amica, stamattina mi ha mandato una mail con un articolo che a stento ho potuto leggere perché ero a lavoro. L’ho letto ora, anzi un’ora fa e ancora non capisco.

Si tratta della storia di una madre (come me) e di una figlia(come Mina); lei lavora, l’altra va a scuola; lei si sveglia presto, l’altra anche; entrambe vivono la propria vita nell’età in cui la devono vivere, come un po’ tutte noi. Peccato che la madre lo fa in nord Italia e la figlia a casa loro. In Sardegna. Peccato che lei, la figlia, lo fa da sola, vivendo da sola, completamente, a nove anni. Peccato che io non riesca a prendere una posizione in merito.

Sto passando il pomeriggio intero a capire se questa madre sia una pazza o l’ennesima vittima di una vita difficile, dove per il bene della figlia, sei anche disposta a partire e andare lontano, parecchio pure, dove non c’è altro che polvere e lavoro.

Mentre leggevo i vari articoli sulla vicenda, ovviamente la mia lettura andava sotto, ai commenti della gente. È molto buffo osservare come le persone siano così incredibilmente radicate nel proprio mondo, e non capiscano quanto forse questa donna stia soffrendo. Perché partiamo da questo presupposto: lei per me è stata costretta ad un atto del genere, non capirei il contrario. Non voglio neanche pensarci.

È sempre lo stesso concetto che ripeto da quasi un anno e che ho sviluppato attraverso mille pensieri. Perché la gente non si fa gli affari suoi? Perché deve condannare senza alcun briciolo di elemento? Perché dobbiamo incattivirci contro una persona di cui non sappiamo nulla; non conosciamo le cause, i problemi, non l’abbiamo mai vista in faccia, non l’abbiamo mai sentita piangere, ridere, non l’abbiamo mai osservata mentre si truccava, non stavamo accanto a lei mentre sul letto guardava il soffitto e prendeva forse la decisione più difficile della sua vita. Lasciare la figlia di nove anni sola a casa. Ma chi siamo noi tutti anche solo per pubblicare un articolo del genere e per giunta nel gran calderone che è la rete? Perché rendere pubblico il dramma di una piccola famiglia? Come potrà sentirsi ora questa donna?

Vi confido un segreto. Ogni madre su questa terra, dal primo momento in cui vede suo figlio uscirle letteralmente dalla pancia, porterà con sé un senso d’inadeguatezza nei confronti del mondo e di se stessa. Perché non è per niente facile vivere cercando di amarsi e di amare l’altro, un altro che tu hai creato dentro di te. Non è semplice. Ma manco un po’! Per questo a volte rido sul fatto che sono bipolare, perché noi madri lo siamo! E nessun altro potrà capire perché alcune volte si affrontano decisioni assurde, impensabili, fuori dagli schemi.

È ovvio che il mio pensiero va anche alla bambina! Non sono qui certo a voler creare apologie né giustificazioni riguardo un atto del genere. Ma, a volte, basta anche rimanere zitti. Non fare niente. Prendere in considerazione il fatto che molto spesso ciò che possiamo pensare noi non conta nulla. Perché noi parliamo di bla bla bla; questa donna e questa bambina vivono.

Sono due ore che scrivo e sento musica per capire e so che mentre guardo fuori e mi arrovello senza una via d’uscita, mia figlia sta vivendo la sua prima lezione di musica senza di me, perché sono qui a parlare di un’altra mamma e di un’altra bimba; e potrei essere criticata, come al solito, per il mio modo di essere madre.

Tipo perché chiamo mia figlia nana col mocciolo.

Ma io continuerò a farlo, perché ogni madre sa quali sono i propri confini, solo lei. Per cui senza giustificare la donna a riguardo, senza puntarle il dito senza alcun elemento se non quello di mezzo articolo su internet, vi dico sinceramente: diamoci una calmata.

Una chicca:

la parabola del fariseo e del pubblicano. Luca 18,9-14. Illuminante a volte, e di un atroce attualità.

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.»

Non avete a casa neanche un libro sulle Sacre Scritture?

Allora uscite e compratevelo, che a volte due pagine della Bibbia sono meglio di tutti i social network messi insieme.

Amen.