La scelta della scuola: italiana o straniera? D’élite o di quartiere?

Quando il bilinguismo è solo una scusa per frequentare un élite...

Una delle cose che mi stanno particolarmente a cuore, sulle quali mi interrogo continuamente e nella maggior parte dei casi mi scaldo tipo tifoso in curva, è la scelta della scuola di mia figlia.

Vivo nel centro storico di Roma e mi ritengo una madre fortunata perché dò a mia figlia la possibilità di andare a scuola a piedi, di giocare in piazza e frequentare un’ottima scuola pubblica con insegnanti validi e frequentata da persone di diversa estrazione sociale differente.

Questa secondo me è la più grande delle fortune.

Circondata da persone che scelgono le scuole dei propri figli solo per garantire la frequentazione di un ambiente esclusivo, mi sono ritrovata spesso a discutere di questo argomento.

Faccio una dovuta premessa. Ci sono situazioni particolari, per esempio quando uno dei genitori è straniero e si vuole dare una linea di continuità con la sua cultura o quando si sceglie una scuola per rendere un figlio bilingue. In questi casi, nessuna obiezione. Ma quando la scelta viene fatta soltanto per mantenere uno status sociale mi sembra orribile e volgare.

Fare delle amicizie tramite i bambini è una cosa facile e tendenziosa e ci sono persone che utilizzano i propri figli per fare una scalata sociale, costi quel che costi (e costano tantissimo queste scuole…).

Il bilinguismo è importante ma è altrettanto importante crescere calati nel reale, avere una dimensione del mondo che effettivamente ci circonda e non chiudere i nostri figli in torri d’avorio che magari non si potranno permettere.

Avere gli amici del quartiere, essere riconosciuti in quanto membri di una comunità e condividere i valori che questa rappresenta, a mio avviso vale più di una seconda lingua.

Cito sempre l’esempio di mia sorella che, senza essere bilingue o aver frequentato scuole esclusive, ha vinto un dottorato a Londra e insegna in una prestigiosa università.

Come ha fatto? Studiando l’inglese l’estate, andando fuori, conoscendo non solo una lingua ma anche una cultura. A cosa serve saper parlare un altro idioma se non si hanno argomentazioni?

Ecco, a mio avviso il punto è questo, la mente dei nostri figli va continuamente aperta e certe scuole d’elitè sono il primo passo per chiuderla.

Ma questo discorso non vale solo per le scuole private. Io, per esempio, ho frequentato il Mameli, la scuola pubblica dei Parioli,e mi ricordo la mia sofferenza nel frequentare un ambiente che non mi corrispondeva.
Ambiente che Teresa Ciabatti, scrittrice sagace e divertentissima, ha raccontato perfettamente nel suo blog “Persona cattiva”.

Non possedendo ancora l’ironia per gestire la mia diversità, mi ritrovavo a prendere come serio solo il modello che queste persone proponevano, sentendomi perennemente inadeguata e inferiore. Certo questo è stato formativo, ha creato in me la consapevolezza di ciò che sono e la giusta distanza da certi schemi, ma quanto mi è costato?

Posso impedire che mia figlia Matilde riviva i miei traumi?

Forse sì. Scegliendo ciò che è giusto per lei in base al buon senso e al mio istinto, sperando di non sbagliare.

Matilde mi ha chiesto se le persone famose sono quelle che vengono riconosciute non solo vicino casa loro e questo mi è sembrato un buon segnale che sto facendo la scelta giusta e che mia figlia ha una percezione del reale sana e non distorta.

Detto questo, manca ancora una settima all’inizio della scuola mentre le scuole straniere hanno riaperto da giorni… ecco, questo è stato l’unico momento in cui la mia fede ha vacillato.

P.s. Vi invito a leggere quanto scritto da Mario Lodi uno degli insegnanti più importanti che la nostra scuola italiana abbia mai avuto:

“Pochi giorni fa, in una scuola elementare, domandai ai bambini quali erano i loro sogni per il futuro. Ha risposto subito Massimo: “diventare miliardario!”. Sogno, condiviso dagli altri bambini, che ci fa riflettere. Oggi è difficile educare perché il nostro impegno di formare, a scuola, il cittadino che collabora, che antepone il bene comune a quello egoista, che rispetta e aiuta gli altri, è quotidianamente vanificato dai modelli proposti da chi possiede i mezzi per illudere che la felicità è nel denaro, nel potere, nell’emergere con tutti i mezzi, compresa la violenza. A questa forza perversa noi dobbiamo contrapporre l’educazione dei sentimenti: parlare di amore a chi crede nella violenza, parlare di pace preventiva a chi vuole la guerra. Dobbiamo imparare a fare le cose difficili, come disse Gianni Rodari in una delle sue ultime poesie: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco, liberare gli schiavi che si credono liberi.”