Festival di Sanremo 2014: prima puntata

Lo spettro di Cavallo Pazzo, l'avanspettacolo di Fazio, Littizzetto e Casta, lo stillicidio dei cantautori, Raffa superba

È iniziata la sessantaquattresima edizione del festival di Sanremo 2014 con il Pre-festival della “Iena” Pif. Tutti pensavamo che fosse Fabio Fazio il presentatore di Sanremo 2014 ma è Pif che ci presenta la stazione, il casinò, il corso principale, il teatro Ariston e tanti altri punti turistici degni di un Intervallo anni 70 della Rai. Lasciato spazio alla genialità – non ne ritroveremo per il resto della puntata – arriva Fabio Fazio che parte con un pistolotto sui disastri ferroviari e idrogeologici del paese talmente pesante da essere interrotto subito da due disperati che dal traliccio della balaustra urlano di essere ascoltati (o forse di piantarla con il pistolotto) e minacciano di buttarsi giù se Fazio non legge la loro lettera. Tutta la rete intona “già visto” “preparatissimo” “ci vuole super-Pippo” e lo spettro di Cavallo Pazzo aleggia per l’Ariston.

Avanspettacolo puro

Schiacciante il paragone con Super-Pippo per Fazio che una volta scesi i due uomini riparte col pistolotto di ricucire il paese, dell’importanza della bellezza che aiuta a vivere sereni e quindi ad evitare disperati sulla balaustra dell’Ariston. In pratica, interruzione funzionale al pistolotto sulla bellezza e sull’arte in cui inserire il ricordo a Fabrizio De Andrè di cui ricorre il compleanno. Saluta Dori Ghezzi in platea mentre la marchesa Dani Secco d’Aragona, indimenticata protagonista di Pechino Express, fa capolino dalla terza fila per entrare nell’inquadratura, come un Leone di Lernia qualunque allo stadio. Fabio Fazio presenta Ligabue ed il suo omaggio a Fabrizio De Andrè con Creuza de Ma. Sale sul palco un sosia di David Lynch, solo più tarchiato ed abbronzato, accompagnato da Mauro Pagani. Ligabue canta Creuza de Ma come uno scapolo al Karaoke sotto tortura, senza pathos e con pronuncia genovese distorta in parmense. È il primo di una serie di stillicidi della serata a discapito di cantautori trapassati. Alla fine Fazio legge la lettera dei due poveracci senza stipendio da sedici mesi. Arriva Luciana Littizetto introdotta da un balletto da varietà di piumini a cipria rosa fenicottero e la Littizzetto, allestita come un carro di Carnevale, fa il suo show zeppo di parolacce peggio dei tempi di “Minchia Sabbri” e si dimena in un costume da Barbie sociopatica senza sortire effetti esilaranti.

Laetitia Casta, Raffaella Carrà, Yusuf Islam (Cat Stevens)

Quando entra in scena Laetitia Casta ecco che Fazio inscena il solito rapporto bondage schiavo-padrona in piena soggezione della bella modella. Trito e ritrito siparietto in cui fanno a gara a chi è più stonato, lui su Ne me quitte pas di George Brassens (stillicidio num.2) e lei con Meraviglioso di Domenico Modugno (stillicidio num.3). Già mezza rete cade in depressione che il siparietto continua con Le foglie morte, eseguita da Fazio ad occhi chiusi, la Casta se la squaglia ed è sostituita da una Littizzetto Maga Magò e il tutto finisce in gran caciara con la Casta e il corpo di ballo da avanspettacolo che interpreta Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai. Ecco, appunto, ce lo chiediamo anche noi pensando al festival.
Il siparietto continua su Silvano del compianto Enzo Iannacci (stillicidio num.4) cantato dal duetto Fazio-Casta e mi accorgo che Sanremo non ha rispetto per quelli ancora vivi tra i telespettatori che devono sorbirsi tutto questo, ma tanto meno per i morti cantautori.
Ma ecco che la vita torna sul palco dell’Ariston con l’ingresso di Raffaella Carrà su un pezzo dance-elettronico che farebbe tremare i Daft Punk da sotto i loro caschi, accompagnata da un corpo di ballo gay-friendly con ballerini truccati peggio dei Duran Duran. Raffa è strepitosa, a settant’anni è credibile mentre ammicca su “Cha-cha-chao-muchacho chao” singolo scritto da Gianna Nannini e primo estratto del suo nuovo album (sì, Raffa fa ancora dischi) e tutta la rete impazzisce per lei. Nel duetto di Rumore che segue con Luciana Littizzetto quest’ultima fa la solita parodia mascherata da Raffa in costume Luca Sabatelli e di nuovo, secondo gli autori, dovremmo (?) ridere.
Il terzo ospite finalmente è musicale – per davvero – Yusuf Cat Stevens con chitarra acustica ed accompagnato dall’orchestra esegue uno dei suoi grandi classi, Peace train. Indossa degli occhiali da sole, nel tentativo forse di non farsi riconoscere come quello che ha suonato a Sanremo e presenta un brano nuovo che finisce con All you need is love dei Beatles ma non lascia il palco prima di aver suonato, per la milionesima volta nella sua carriera, Father and Son solo chitarra e voce. Momento poetico che però non riesce a restituire lo stipendio ai lavoratori in balaustra, come invece poteva sperare Fazio che vorrebbe tenere in ostaggio Cat Stevens per tutto il Festival. Salvato dallo stillicidio artistico il compianto Roberto Freak Antoni, omaggiato con un mini stacchetto dell’orchestra di Mi piaccion le sbarbine e qualche citazione dei suoi aforismi.

I big, le canzoni, i presenter

Parte la gara con il pathos di una bocciofila di pensionati, primo big in gara è Arisa con un pezzo di cui è coautrice, lento e strappalacrime, Lentamente, il secondo Controvento più movimentato ma sempre soporifero. Il primo presenter è Tito Stagno che proclama Controvento come la canzone vincitrice di Arisa, con cui proseguire la gara. Un minuto di silenzio pensando al declino di quest’uomo che è passato dal raccontare all’Italia l’allunaggio del 1969 all’annuncio di Controvento di Arisa.
Segue Frankie Hi Energy con Un uomo è vivo un pezzo melodico, in stile Lorenzo Jovanotti e un rap più vecchio stile con Pedala che passa il turno, annunciato in stereofonia dalle presenter Tania Cagnotto e Francesca Dallapè, più in sync delle gemelle di Shining ma con tacchi e spacchi molto più alti. Quando balliamo di Antonella Ruggiero è il primo momento in cui il festival si ricorda di essere “musicale”, ci sono volute solo 2 ore e ritmo è la parola chiave della serata. Il brano che passa però è Da lontano, decretato dall’armadio Amaurys, pallavolista su cui la Litizzetto non risparmia un repertorio di batture da camionista che sbava sul calendario della strappona di turno (e dovremmo ridere). Rafael Gualazzi e The Bloody Betroots (alias Sir Bob Cornelius Rifo) con il brano Tanto ci sei, coro gospel, atmosfera soul e svisate elettroniche di Bloody Betroots e Liberi o no che ha un groove elettronico più sostenuto, contraltare il coro gospel sullo sfondo. Il professor Luigi Naldini di Telethon decreta la canzone scelta dal pubblico Liberi o no. Quinto cantante è Cristiano de Andrè con Invisibili e Il cielo è vuoto. La presenter Cristiana Capotondi con un vestito ton sur ton con il legno degli archi dell’orchestra annuncia che Il cielo è vuoto è il brano più televotato tra i due. Arrivano i Perturbazione con un pezzo di swing pop elettronico L’unica e L’Italia vista dal bar, seguiti da Massimo Gramellini che incorona L’unica. Ultimo cantante in gara (ce l’abbiamo fatta) è Giusy Ferreri, tirata fuori dalla naftalina dopo anni di oblio, con L’amore possiede il bene e Ti porto a cena con me, entrambi i pezzi diretti da uno rispolverato Beppe Vessicchio.
Marco Bocci che sale sul palco dell’Ariston con la falcata di un cowboy da saloon o un tamarro di periferia annuncia che è Ti porto a cena con me il brano più televotato di Giusy Ferreri. Saluti, luce, sipario, ce l’abbiamo fatta, la puntata si è conclusa.

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