Appello alla Fornero contro le dimissioni in bianco

Cresce la mobilitazione per ripristinare la legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco

Viviamo in un paese in cui una giovane donna che trova lavoro viene invitata a firmare una lettera senza data nella quale afferma di volersi dimettere. La lettera sarà conservata dal datore di lavoro e usata nel caso la giovane rimanga incinta.

Il licenziamento sarà immediato e indolore (non per lei, ovviamente). Lo hanno rivelato ieri i dati Istat (insieme a tanti altri, tragici e allarmanti, sulle condizioni del paese). Le donne licenziate o costrette alle dimissioni per aver deciso di avere un figlio sono quasi un milione, 800.000 per la precisione, circa 8,7 per cento di quelle che lavorano o che hanno lavorato.
A subire questo atto di violenza (come chiamare altrimenti il ricatto: o il lavoro o il figlio?) sono soprattutto le giovani. Se infatti le donne nate dal 1944 al 1953 costrette a lasciare il lavoro sono circa il 6,8 per cento quelle obbligate ad accettare il ricatto nate dopo il 1973 sono il 13,1 per cento. Insomma per le donne giovani oggi cercare di lavorare è persino più difficile che per le loro madri. Per farlo devono garantire che non avranno un figlio o accettare in silenzio di andarsene nel caso lo vogliano.

Il ministro Elsa Fornero
Il ministro Elsa Fornero

Grande mobilitazione su internet con siti, blog, gruppi Facebook, petizioni online, ma anche lettere inviate al nuovo ministro del Lavoro Elsa Fornero per ripristinare la legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco, norma approvata da una maggioranza trasversale dal secondo Governo Prodi e cancellata dall’ex ministro Sacconi, che prevedeva l’uso di moduli numerati validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie.

Dietro questo arretramento c’è un meccanismo preciso che il governo Berlusconi ha voluto fermamente ed una storia che vale la pena di ricordare e di raccontare.
 Durante il governo Prodi un gruppo di parlamentari donne, su proposta di Marisa Nicchi, presentò una legge che, con un meccanismo molto semplice e a costo zero, avrebbe eliminato la vergognosa pratica delle dimissioni in bianco. La donna che avesse voluto lasciare il lavoro perché incinta avrebbe dovuto firmare un modulo numerato fornito dalle direzioni provinciali del lavoro e non una lettera senza data semplicemente consegnata al datore di lavoro. Semplice no? Infatti la legge passò anche con il voto di molte e molti dell’allora minoranza.


Il primo atto del governo Berlusconi, e per la precisione del ministro del Welfare Sacconi, è stata la sua cancellazione. Le dimissioni in bianco sono tornate a regolare i rapporti fra le donne e il lavoro con le conseguenze oggi documentate dai dati. Sono davvero rari i casi in cui si può dire che le conseguenze negative di un intervento legislativo siano immediate e chiare.

Per questo, pochi giorni dopo l’insediamento del Governo Monti, Titti di Salvo e Marisa Nicchi, promotrici della vecchia legge, hanno chiesto di reintrodurre la norma. Il loro appello è stato sottoscritto da 14 donne: dalla giornalista Ritanna Armeni alle segretarie confederali di Cgil, Cisl e Uil Serena Sorrentino, Liliana Ocmin e Anna Rea.
“Noi donne del sindacato, del giornalismo, della società civile, della politica – conclude la lettera -, noi che abbiamo promosso questa legge nel 2007, pensiamo che il futuro del Paese parta da questo atto concreto e simbolico, dal ripristino della dignità e civiltà del lavoro: dal ripristino della legge 188/2007”.

E tu cosa ne pensi? Ti è mai stato chiesto di firmare una lettera di licenziamento senza data? Saresti disposta a rinunciare ad un figlio pur di tenerti il lavoro?
Ne vale veramente la pena?