Storie Zen che fanno bene allo spirito

4 racconti per riflettere e meditare

Storie Zen che fanno bene allo spirito
Storie Zen che fanno bene allo spirito

Articolo scritto da Claudia del blog Diariodime

La cultura Zen giapponese regala diverse brevi storie che possono essere lette e rilette per aiutare la meditazione e raggiungere così l’illuminazione.
Noi non ambiamo a quella ma leggerne qualcuna è sicuramente piacevole e aiuta a riflettere. Eccone di seguito quattro che fanno bene allo spirito.

(1) Una tazza di thè

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.

Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.

Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «È ricolma. Non ce n’entra più!».

«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?».

(75) Collera

Uno studente di Zen andò da Bankei e gli espose un suo problema: «Maestro, io ho certe collere irrefrenabili. Come posso guarirne?».

«Hai qualcosa di molto strano davvero» disse Bankei. Fammi dunque vedere di che si tratta».

«Bhe, così su due piedi non posso fartelo vedere» rispose l’altro.

«Quando potrai farmelo vedere?» domandò Bankei.

«Salta fuori quando meno me lo aspetto» rispose lo studente.

«Allora,» concluse Bankei «non dev’essere la tua vera natura. Se lo fosse, potresti mostrarmelo in qualunque momento. Quando sei nato non l’avevi, e non te l’hanno dato i tuoi genitori. Pensaci un po’ sopra».

Storie della cultura zen giapponese
Storie della cultura zen giapponese

(78) La vera prosperità

Un uomo ricco chiese a Sengai di scrivergli qualche cosa per la continua prosperità della sua famiglia, così che si potesse custodirla come un tesoro di generazione in generazione.
Sengai si fece dare un grande foglio di carta e scrisse: «Muore il padre, muore il figlio, muore il nipote».

L’uomo ricco andò in collera. «Io ti avevo chiesto di scrivere qualcosa per la felicità della mia famiglia! Perché mi fai uno scherzo del genere?».

«Non sto scherzando affatto» spiegò Sengai. «Se prima che tu muoia dovesse morire tuo figlio, per te sarebbe un grande dolore. Se tuo nipote morisse prima di tuo figlio, ne avreste entrambi il cuore spezzato. Se la tua famiglia, di generazione in generazione, muore nell’ordine che ho detto, sarà il corso naturale della vita. Questa per me è la vera prosperità».

(89) Dialogo Zen

Gli insegnanti di Zen abituano i loro giovani allievi ad esprimersi.
Due templi Zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti. Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava l’altro per la strada.

«Dove vai?» domandò il primo.

«Vado dove vanno i miei piedi» rispose l’altro.

Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al suo maestro. «Quando domattina incontrerai quel bambino,» gli disse l’insegnante «fagli la stessa domanda. Lui ti darà la stessa risposta, e allora tu domandagli: “Fa’ conto di non avere i piedi: dove vai, in quel caso?”. Questo lo sistemerà».

La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo.

«Dove vai?» domandò il primo bambino.

«Vado dove soffia il vento» rispose l’altro.

Anche stavolta il piccolo rimase sconcertato, e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta.

«E tu domandagli dove va se non c’è vento» gli consigliò il maestro.

Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta.

«Dove vai?» domandò il primo bambino.

«Vado al mercato a comprare le verdure» rispose l’altro.