La storia di Analìa e della sua piccola guerriera Luz Milagros, nata a sei mesi di gestazione

La storia di Analìa e della sua piccola guerriera Luz Milagros, nata a sei mesi di gestazione

L’episodio si è verificato in Argentina e si è poi diffuso in tutto il mondo, lasciando migliaia di persone sotto choc. La mamma protagonista si chiama Analía ed ha circa trenta anni. Era incinta della sua quinta figlia, quando a sei mesi di gestazione, si è recata al pronto soccorso dell’ospedale di Perrando nella città di Chaco.

Purtroppo Analìa aveva la placenta previa occlusiva totale e il suo ginecologo l’ha subito informata che il protocollo medico, in casi come suo, richiede un parto cesareo.

Purtroppo quel giorno, durante l’ecografia, il medico del pronto soccorso non è riuscito a trovare alcun battito, così ha portato la donna, con urgenza immediata, in sala operatoria.

“Hanno sbagliato tutto con me, dall’inizio. Mi hanno toccato più volte e con uno di quei tocchi, ho sentito che mi avevano rotto le acque. Il medico mi disse che non era così e che avevo fatto la pipì. Era la mia quinta figlia, come facevo a sbagliarmi? Poi sentii uno dei dottori che disse, lasciala uscire da sola. Io ero stanchissima e vomitavo, non capivo, ero confusa. Avrei voluto aiutare mia figlia a nascere, ma non ce la facevo. Alla fine nacque in modo naturale. 

Dopo due ore dalla nascita di mia figlia, un’infermiera entrò nella mia stanza e mi domandò se volevo conoscere il motivo della morte della mia bambina. 

Ero scioccata, nessuno mi aveva detto nulla. Mia figlia era stata dichiarata morta. E’ stata portata in obitorio e ci è rimasta per le dieci ore successive. 

Verso le 22 ho reagito e ho deciso di andare a dirle addio. Mi sarei pentita per tutta la vita altrimenti.

Mi sono fatta accompagnare da mio marito, mio fratello e mia cognata. Hanno estratto il cassetto da una camera di refrigerazione e l’hanno messo sul tavolo. Nessuno voleva vedere, mi hanno chiesto di non vederla per non conservare il ricordo di quell’immagine, ma volevo io dirle addio.

Mia figlia era viva. Ho guardato il suo corpicino, era viola e freddo. Le ho preso la manina e le ho scoperto il viso. Mia figlia mi stava guardando e piangeva. In un primo momento ho creduto di avere un’allucinazione. Ho iniziato ad urlare. Sono caduta in ginocchio sul pavimento, non riuscivo a crederci. Mio fratello con il sangue freddo, ha preso la mia piccola in braccio e continuava a ripetere, piccola vivrai, calmati che vivrai. 

I medici non hanno trovato una spiegazione. L’hanno subito collegata ad un respiratore artificiale. Avevamo già ricevuto un certificato di morte, quando sono venuti  a darci un certificato di nascita, con dei dati falsi. Io e mio marito abbiamo deciso di non accettare. 

Dopo otto giorni di terapia intensiva, la mia bambina ha avuto un arresto cardiaco. Hanno voluto che guardassi mentre la rianimavano, perché nel frattempo una mia zia, aveva contattato un canale televisivo. Voleva che tutti conoscessero il mio caso. Dopo poche ore, l’ospedale era invaso di giornalisti. 

I titoli parlavano tutti della negligenza sanitaria dell’ospedale. Luz Milagros (Luce Miracolo) è riuscita a sopravvivere al’arresto cardiaco ed è stata trasferita all’ospedale italiano Buenos Aires. In questa struttura mi hanno detto che soltanto il 10 % del cervello di mia figlia era funzionante e mi hanno consigliato  di staccare il macchinario, ma io  non volevo arrendermi. All’interno di tutto ciò che è brutto, c’è sempre un miracolo. Una volta un ragazzo mi disse che aveva pianificato di porre fine alla sua vita e quando vide come mia figlia aveva lottato per vivere, cambiò idea . Non so cosa gli sia successo, ma questo mi ha confortato. Così hanno accettato la mia richiesta ed hanno continuato a nutrirla attraverso un tubo gastrico. 

Dopo diverso tempo, Luz è stata dimessa e siamo potuti tornare a casa. Purtroppo dipendeva dall’elettricità, solo così poteva rimanere in vita. Ricordo che durante una tempesta, è andata via la corrente e ho dovuto tenerla in vita con la respirazione bocca a bocca.  Dopo un mese mio marito mi ha lasciato e se ne è andato. Devo dire che la comunità mi è stata molto vicino. Tante persone mi hanno inviato tubi per la a tracheotomia e altre forniture per me indispensabili. 

Ho cercato molte strade per fare i soldi e richiedere aiuti, per poter andare in un altro paese, per trattamenti migliori, ma non ne ho ricevuti. L’unica cosa che il Sindaco ha fatto, è stato farsi una foto con me e mia figlia.

Nel tempo ho iniziato una relazione con uno dei dottori che veniva a casa a domicilio. Mi è stato vicino, vicino a Luz e ha viaggiato con me e i miei quattro figli. Durante uno di questi viaggi, ci siamo fermati a Rosario, a trovare mia sorella, dopo che ho saputo che le avevano diagnosticato un cancro. Luz, quel giorno, ha avuto un crollo, per colpa di un’infezione generalizzata. 

E’ stata portata con urgenza in ospedale. I medici mi hanno subito detto di non aspettarmi nulla questa volta. Ho pensato che forse avrei dovuto smettere di costringerla. Così sono andata nella sua stanza, le ho preso la manina e le ho detto: se vuoi stare con la mamma, sono qui. Se non ce la fai più e vuoi andartene, vai…

Luz è morta il 23 giugno del 2013.

L’ho vestita personalmente e l’ho portata in braccio fino all’obitorio. In seguito abbiamo provato a fare causa all’ospedale per danni morali e anche per negligenza nei confronti dello Stato provinciale del Chaco. 

Il nostro avvocato ha richiesto un risarcimento di 300.000 euro. Da quel momento, la mia vita non è stata più la stessa. Mia madre ha scoperto di avere un cancro alla gola ed ha perso le corde vocali. Mio fratello ha avuto un brutto incidente e ha perso la memoria. 

Tutto ciò che oggi ho da dire, è che Luz è venuta alla luce per un motivo: all’interno di tutto ciò che è brutto, c’è sempre un miracolo. Una volta un ragazzo mi disse che aveva pensato di porre fine alla sua vita, ma quando ha visto come mia figlia aveva lottato per vivere, aveva cambiatoidea. Non so cosa gli fosse successo, ma questo mi aveva confortato”.