Il Gioco e il Ricordo: mamma, con cosa giochi tu?

Se per noi era meraviglioso schiacciare il naso contro una vetrina piena di Barbie, oggi per i nostri figli lo è fare click sul loro sito di giochi preferito

(sottofondo musicale: “Amelie” soundtrack)

“Mamma, ma tu come fai a divertirti?”

“In che senso, Margherita…?”

“Nel senso che io per esempio gioco con i miei giochi; i tuoi quali sono?”

“Io non ho giochi…..io sono grande.”

“Non è vero, non ci credo. Ora mi accompagni a scuola e quando torni me ne dici almeno tre.”

“È valido dire che un gioco sono i miei tacchi?”

“No. Trova i tuoi giochi mamma, che poi magari ci giochiamo insieme”.

Ecco. Sono le due e mezza. Fra poco meno di due ore dovrò andare a prendere a scuola mia figlia e ancora non ho trovato un gioco mio-mio-mio attuale;

è proprio difficile come tema, ma non poteva chiedermi la pizza all’uscita di scuola?

In effetti, quando cresci, i termini “giocare” e ”gioco” si trasformano in atti e oggetti quasi velenosi; persino nel mestiere dell’attore è stata censurata la parola “play”, gioco appunto; se sei un uomo e dici che giochi a qualsiasi cosa, le donne fuggono perché pensano ad un soggetto poco raccomandabile, e noi donne, uh, figuriamoci!!!! Noi passiamo direttamente dalle bambole ai figli dimenticandoci quanto era bello sbagliare, sporcarci le mani con i pennarelli, passare ore e ore a fare trecce alle Barbie.

Se hai cinque anni e giochi, va bene.

Se hai quindici anni e giochi va benino, ma stiamo già sull’orlo di un appuntamento con un mediatore famigliare specializzato in fasi atipiche adolescenziali.

Se hai vent’anni e giochi, sei fuori. I tuoi genitori chiamano angoli acuti per piantarcisi con il proprio lobo temporale.

Ma perché?

In fondo, la sensazione che ti dà il gioco, io non l’ho più provata; è il prurito nelle mani quando vuoi scartare la carta dei tuoi regali, oppure l’odore di nuovo che respiri sui bambolotti nuovi, l’emozione di quando i nonni ti portavano al negozietto sotto casa, un buco, ma pieno pieno di Barbie da un lato e tartarughe ninja dall’altro; sì, perché quando ero piccola io c’erano al massimo quattro giochi per genere, e non parlo del “genere” di gioco, della tipologia, parlo proprio del GENERE, quattro per il maschio e quattro per la femmina.

Comunque.

Il giocattolo è come Parigi di notte. Ti avvolge e ti porta lassù, e la tua fantasia salta e la tua voce diventa la voce dell’amica, della mamma e del fidanzato; la casa di Malibù si trasforma nell’aspirazione più grande della tua vita, la vuoi, vuoi quell’ascensore che sì, si blocca sempre, ma vuoi mettere avere un ascensore in camera, e per giunta la tua?!

Le amiche vengono; ci si siede tutte in circolo. Si comincia con la divisione delle bambole, delle Barbie, dei vestiti, delle scarpette spaiate..

– io prendo il Ken moro dai capelli finti.

– se tu prendi Ken, io prendo tre vestiti in più.

Il giocattolo era anche motivo di ricatto: ricordo le innumerevoli volte che mi sono sentita dire “allora ridammi tutto quello che ti ho regalato!”; era motivo di socialità: “ciao, lo sai che anche io ho Barbie Jam edizione limitata….” Motivo di vita.

È per questo che non riesco a trovare il mio gioco; forse non c’è più; forse è sommerso tra la bolletta del gas e la rata della macchina… o forse semplicemente ci scordiamo quanto è bello schiacciare il naso su una vetrina, che poi ora neanche quello i

bimbi fanno, ora – furbi – schiacciano il naso direttamente sullo schermo del computer dentro il sito online deputato a soddisfare i loro desideri.

Qual è il mio gioco.

Non lo so, proprio non lo so. Ma cercare nei ricordi e ri-respirare tutta la mia vita, fatta di ombrelli aperti in corridoio che formavano la casa delle mie bambole, mi fa stare bene, meglio.

Grazie figlia.

Un’altra domanda del genere e mi parte l’ulcera, ma grazie.

Illuminami sempre così la vita.

Tua, mamma.

E quando penso a mia figlia, che sta bene ed è sana, non posso non pensare ai bambini che invece soffrono e sono costretti a stare in ospedale.

Un bambino in Ospedale.. una cosa assurda! Da mamma non riesco a capacitarmi delle sofferenze a partire dal piccolo e a tutta la sua famiglia.

Grazie al mio lavoro da redattrice per Bigodino.it ho conosciuto da poco questo sito, di cui ha già parlato l’altra malamamma Eva in questo articolo, e ho avuto modo di scoprire che non è solo un sito dedicato al mondo consumistico del gioco e dei giocattoli, ma c’è anche un’attività di charity proprio a favore dei bimbi meno fortunati.

Per ogni like che la pagina della Scatola dei Giocattoli riceverà su Facebook, Mattel donerà dei giocattoli al Comitato Letizia Verga, l’associazione costituita negli anni ‘80 da genitori e medici impegnati nella lotta contro le leucemie, che opera all’ospedale San Gerardo di Monza. In questo modo, i bambini che verranno ospitati nel reparto riceveranno un kit di accoglienza con i giocattoli Mattel per passare le ore lontani dalla famiglia e usufruire di alcune aree gioco comuni. Da qui, il nome della Mattel Charity: Più Like, Più sorrisi! A supporto di questa

iniziativa, sulla pagina Facebook della Scatola dei Giocattoli è comparsa una tab che guiderà i visitatori attraverso l’iniziativa e terrà conto di ogni singola contribuzione al progetto, con tanto di inserimento nel “Muro dei Contributori”, che includerà e celebrerà chiunque abbia deciso di aiutare.

Allora? Cosa aspettate ad aiutarli, cliccate qui!