Il Primo Re: una sfida tra epica, narrativa e coraggio

Arriva oggi al cinema Il Primo Re, ce ne parla il regista e gli attori protagonisti Alessandro Borghi e Alessio Lapice

Arriva oggi al cinema il nuovo film del regista romano Matteo Rovere, Il Primo Re, epica pellicola che fonda la sua storia sul mito di Romolo e Remo, i due gemelli simbolo di Roma cresciuti dalla lupa. In occasione della presentazione del film, noi abbiamo incontrato il regista Rovere e i due attori protagonisti, Alessandro Borghi e Alessio Lapice, per farci raccontare qualcosa di più di questa epica storia.

La leggenda di Romolo e Remo conversa in sé differenti versioni, in quanto racconto arrivatoci postumo i reali eventi accaduti. Infatti, oltre ai racconti narranti dai grandi storici e pensatori che si sono susseguiti nel corso della storia, non ci sono dei veri reperti storici che possano confermare o meno la veridicità del racconto. Un racconto fatto di simboli ed elementi che ci portano, nel concreto, al più grande evento che riguarda la nostra storia personale, la fondazione di Roma, avvenuta precisamente il 21 Aprile del 753 a.C.

Il Primo Re, una grande storia per un grande film

Il Primo Re

Un racconto non facile con il quale confrontarsi, non solo per ciò che incarna e rappresenta ma anche per il periodo storico all’interno del quale è ambientato. Un mondo molto ostile e diverso dal nostro. Una natura selvaggia, feroce dove al primo posto viene la sopravvivenza e gli abitanti del periodo sono per lo più abbandonati a loro stessi. A questo proposito Matteo Rovere, regista del film, è il primo a prendere la parola: “C’era prima di tutto la volontà di fare un film diverso ma con dei sedimenti all’interno della nostra cultura. Un film che si muove su una struttura epica, diversa da quella che conosciamo noi solitamente, ma al tempo stesso c’era l’obiettivo di non perdere la chiave dell’essere un film italiano. Il film è dotato di un grande realismo cinematografico e noi siamo figli di questo tipo di cinematografia. Ecco perché ho voluto prendere questo tipo di cinema italiano e portarlo verso un’avventura nuova. Prendere gli elementi della nostra cinematografia e rinnovarli, portarli in azione in una costruzione spettacolare che stravolge lo spettatore, lo portata totalmente da un’altra parte. Tutto questo attraverso una storia che ha una grande stratificazione, tanti livelli di lettura, ti scombussola in qualche modo anche a confronto con i riferimenti che avevi.

Il Primo Re

Un film che più che un film sembra essere una vera e propria sfida narrativa e produttiva. La gestazione de Il Primo Re è stata molto lunga. Un film rischioso e coraggioso, del tutto girato in esterna, scoperti alle intemperie, immersi nella natura proprio per rendere il più realistico possibile la costruzione di un mondo che andava creato dall’interno. Matteo Rovere è, quindi, la prova e il coraggio dei giovani registi italiani nell’affrontare enormi sfide produttive e narrative, rischiando il tutto e per tutto senza voltarsi indietro. “È stato una sfida produttiva dove la paura di un film completamente in esterni, complesso per la nostra industria, ha permesso di imparare l’uno dall’altro, cercando di confrontarsi continuamente tra tutti i membri della crew.” Continua a raccontarci Matteo Rovere. “Nel caso di questo film la tecnica cinematografica si mette al servizio di un impianto estetico che racconta al pubblico in una chiave molto realistica. Tutto deve sembrare molto vero: la fatica, la fame, la stanchezza. L’enorme lavoro fatto dai vari reparti che hanno usato e adattato la natura al loro lavoro sfruttandola al massimo. La natura domina tanto nel racconto quanto nella costruzione stessa del film. Sei immerso nella natura, una natura ostile, arcaica, difficilissima e veramente esplosiva in qualche modo. É stata una fatica davvero estrema ma che dà soddisfazione nelle immagini. Non lo so… evidentemente sono uno che ama il rischio!

Tra uomo e dio, l’autoaffermazione e la spiritualità ne Il Primo Re

Il Primo Re

Sappiamo tutti di cosa parla la storia di Romolo e Remo, del destino che viene loro riservato. Nel caso de Il Primo Re, Matteo Rovere e gli sceneggiatori hanno voluto approfondire ancora di più il rapporto tra questi due gemelli, il senso di protezione, l’amore intimo e la sofferenza che poi ne scaturisce fuori, diventando quasi metafora delle due facce presenti all’interno dell’essere umano: quella dell’auto affermazione nei confronti di Dio e quella più spirituale. “Fratellanza, rapporto umano tra esseri umani. Romolo e Remo è stata solo la base dalla quale siamo partiti per poterci immergere in un racconto assai più stratificato.” Dice lo sceneggiatore Filippo Gravino. “All’interno del film ci sono riferimenti insospettabili, come per esempio Rocco e i suoi fratelli o anche Toro Scatenato. Nel film uno dei due fratelli, ovvero Remo, ha un processo degenerativo che nasce da un demone interno. Nel nostro caso abbiamo avuto l’occasione di rappresentare il demone esterno che è Dio. Quindi Romolo e Remo ci parla anche del rapporto tra uomo e dio, della rabbia, della frustrazione, del senso di inferiorità e della volontà di volersi ribellare. Difficile pensare a molti film con questa tematica così alta e definitiva.

Il Primo Re

Sicuramente uno dei tanti pregi de Il Primo Re, come abbiamo già anticipato, è il suo particolare focus sulla relazione sentimentale tra Romolo e Remo. Indubbiamente regista e sceneggiatori hanno voluto portare sullo schermo il lato più intimo e dolce che può esserci tra due fratelli, sacrificando l’aspetto più freddo di questo rapporto che invece si evince dalla realtà della storia. C’è anche da dire che proprio questo approfondimento rende il gesto finale, l’avverarsi della profezia ovvero che uno solo dei fratelli, una volta ucciso l’altro, avrebbe fondato il primo grande Impero mai esistito al mondo, rende il momento dell’uccisione ancora più sentito, ancora più concreto. “La relazione sentimentale che c’è nella fratellanza è più intima nel film ma nella realtà è più fredda, più cinica. In questo caso “salvare il fratello” ha un significato esteso, che può essere interpretato in molteplici forme. Remo va avanti con l’obiettivo primario di salvare Romolo. Ma questa cosa potrebbe anche essere rappresentato con il classico “porgere l’altra guancia”. La fratellanza può avere un senso molto più esteso che va oltre il legame di sangue. Non ho voluto dare una mia interpretazione troppo stretta della cosa, ma lasciare più possibilità. Centrale in questo caso è Dio.  Il Dio qui è un cattivo del film e  viene raccontato all’interno del dualismo tra i due fratelli dove, sul finale, Romolo prende quell’elemento di terrore rappresentato da Dio ma lo elabora nel momento stesso in cui affonda la spada dentro Remo. E, infatti, l’ultima frase che viene detta da Romolo è proprio: “Non dimentichiamoci che questa città nasce sul sangue di mio fratello avrei voluto more al posto tuo.” Precisa Matteo Rovere.

Una lingua antica per una lingua cinematografica nuova

Il Primo Re

Particolarità de Il Primo Re è la lingua nel quale è stato recitato. Sempre parlando di sfide, non parliamo unicamente di un film fatto dove il silenzio ha una componente estremamente importante, dove è il corpo a parlare e l’espressioni dei suoi attori, ma anche un film dove la lingua usata rappresenta il tempo in cui è ambientata la storia. Matteo Rovere sceglie il protolatino per rappresentare al meglio il secolo del suo film. Un linguaggio arcaico ricostruito attraverso fonti contemporanee al periodo storico in cui si immagina fossero vissuti Romolo e Remo. Linguaggio imparato dagli attori stessi che hanno dovuto scivolare nelle radici di questa lingua, mettendosi ancora di più alla prova. Il primo a parlarne è Alessandro Borghi, interprete di Remo e che negli ultimi anni stiamo vedendo in ruoli sempre più interessanti e stimolanti: “A distanza di tempo posso dirvi che è più complicato pensare di farlo che farlo davvero. Quando mi è stato proposto questo ruolo in questa lingua, mi sono subito detto che avrei fatto la peggiore figura della mia vita. Era impossibile per me imparare la sceneggiatura. Ero scoraggiato e il giorno in cui avevo il monologo da provare, ricordo che mi sentivo male al sol pensiero. Poi ho iniziato a ripetere le battute, ad ascoltarmi, ad ascoltare quella lingua che piano piano mi entrava sempre più in testa. La stavo assimilando giorno dopo giorno. Ricordo che durante il periodo del padrino a Venezia, nel 2017, correvo la mattina in spiaggia e ascoltavo le mie battute. E senza rendermene contro il giorno di quel monologo, sapevo le battute a memoria.

Il Primo Re

Anche Alessio Lapice, che invece nel film interpreta il più spirituale Romolo, si è trovato di fronte la paura di questa lingua arcaica e sconosciuta, ma al tempo stesso la consapevolezza di essere al fianco di un grande regista che ha saputo guidarlo dall’inizio alla fine in questo percorso. “Ho lavorato sul mio monologo per oltre un mese. Poi un giorno mi chiama Matteo e mi dice che sono state fatte delle modifiche alla scena del monologo. Io, ingenuamente, chiedo quali. E lui mi dice che hanno riscritto tutto. Tutto. Ed io la prova registrata di quel monologo l’avevo sei giorni dopo. Ricordo che però lui era tranquillissimo, che non dovevo preoccuparmi. Lì per lì rimasi spiazzato, poi però ti rendi conto della fortuna che hai avuto a lavorare con un regista come Matteo Rovere. Un regista così preparato su tutto, ci ha permesso di dedicarci totalmente a quello che dovevamo fare. Dal mio canto posso dire che Romolo è un personaggio che non ha voglia di parlare, fa fatica a parlare, ma il suo silenzio urla quasi. Il mito è qualcosa che non esiste è l’immaginazione personale a ricrearlo. E ricreare l’immaginazione è un’impresa difficile eppure Matteo ce l’ha fatta. Noi ce l’abbiamo fatta e nonostante la stanchezza, gli sguardi persi nel vuoto, la fame, ti rendi conto che ti stanno permettendo di fare il lavoro più bello del mondo.

Il Primo Re

A questo proposito, sul discorso sulla lingua, nel mentre della conferenza stampa tenutasi a Roma per la presentazione del film, la sceneggiatrice Francesca Manieri ci chiarisce i punti di partenza per una pellicola come Il Primo Re: “Siamo partiti da un ragionamento principale, ovvero cosa vuol dire avere a che fare con l’archetipo e il mito? Per questo motivo abbiamo lavorato spesso in sottrazione all’interno della narrazione, perché nel mito il tessuto testuale assume una forza che difficilmente si riesce a ricreare. La parola secondo noi doveva andare in sottrazione. La storia è basata sul silenzio e non è tanto associata alla battuta quanto ai contenuti. Parliamo di un film basato sul rapporto uomo e natura, sulla storia dell’individuo e del destino che altro non è che la rappresentazione del rimorso dell’occidente nei confronti con Dio. Un dio silenzioso che riverbera sugli uomini. Ecco perché abbiamo scelto di utilizzare il protolatino, ovvero una lingua nativa che somigliasse a questo film il più possibile, ruvida e grezza.

La Roma di Romolo e Remo, tra ieri e oggi

Il Primo Re

Il Primo Re, in tutte le sue chiavi di lettura, sfide e rappresentazioni del mito che incarna, è anche un film drammaticamente attuale. E uso il termine “drammatico” perché la storia che Matteo Rovere ci racconta è la storia di un gruppo di individui guidati dal disperato bisogno di un senso di comunione. Il bisogno di costruire una comunità, sentendosi partecipi di qualcosa, di una piccola civiltà destinata a diventare l’Impero più conosciuto della storia. Romolo e Remo, come gli altri personaggi che incontriamo, non sono altro che dei nomadi senza casa, senza averi, sempre scoperti verso pericolo, destinati ad essere gli schiavi di altri. Vittime sacrificali. Carne da macello. Ed è proprio Remo, per difendere suo fratello, che deciderà di ribellarsi. Ribellarsi a un destino già scritto. Ribellarsi a quel dio traditore e silenzioso, autoaffermandosi e decidendo di non essere più vittima. Ma una comunità non può essere costruita sul singolo, ma sulla parità. Non è il terrore ciò che rende un popolo unito. La rabbia o la paura. Ma è l’uguaglianza, la pace, il sentirsi parte di qualcosa più grande. Ed è forse questo quello che abbiamo dimenticato ormai. Sull’argomento, Matteo Rovere dice: “Il film si basa sulla contemporaneità di un passaggio doloroso che stiamo affrontando. I personaggi del film non hanno la concezione di patria, vogliono difendersi dalla natura ma anche dall’inconoscibile. Il destino li mette in una condizione che non hanno scelto ma che in qualche modo li ha salvati, sentendosi così in dovere – soprattutto nel caso di Romolo – di salvare e dare asilo ai poveri, ai derelitti, agli schiavi.  È un concetto primitivo di politica che ha molto a che fare con il senso di aggregazione.

Il Primo Re dal 31 Gennaio vi aspetta al cinema