Speciale Ken Loach: La parte degli angeli

Un Ken Loach diverso, ma che fa sempre riflettere

Esce oggi al cinema “La parte degli angeli”, l’ultimo film di Ken Loach insieme al suo fedele sceneggiatore Paul Laverty.
Un commedia leggera ma che saprà farvi riflettere con quella sua vena “socialista” che non manca mai ma che si farà notare sotto forme diverse.
Quattro ragazzi obbligati al servizio sociale per non finire in carcere e una trovata “alcolica” che in qualche modo gli cambierà la vita.
Le problematiche di molti giovani europei di questo periodo vengono affrontati con ironia ma rispetto.
Un film senza dubbio da vedere che vi scalderà il cuore, che vi farà sorridere e al tempo stesso assaporare quella “parte degli angeli”, quel 2% che di ogni botte ogni anno svanisce, che probabilmente non avete mai conosciuto prima.
Noi di Bigodino lo abbiamo visto in anteprima, insieme al regista stesso che abbiamo intervistato per voi.

La parte degli angeli
La parte degli angeli

Le ultime considerazioni riguardo il Festival di Torino

“Sono molto triste per ciò che è successo, il premio del Festival è molto importante ed è un onore, non solo per me ma per tutta la crew, e mi è dispiaciuto non poterlo accettare ma era una questione di principio.
Il direttore già ad agosto aveva riconosciuto il problema e mi ha scritto questa mail: “Siamo ben consapevoli dei gravi problemi che riguardano i lavoratori del museo del cinema e condividiamo le sue considerazioni, faremo ciò che possiamo per trovare una soluzione ragionevole a salvaguardia dei diritti dei lavoratori”.
La questione era stata sollevata già in estate, i lavoratori esternalizzati avevano salari troppo bassi su cui era stato fatto un ulteriore taglio del 10%; in più, 5 erano stati licenziati per motivi a nostro parere non equi.
La differenza principale tra me ed altri e il museo è che, a parer mio, il datore di lavoro ha una responsabilità verso i lavoratori, che siano esternalizzati o no; quando c’e un licenziamento iniquo in qualsiasi lavoro la tua è una responsabilità diretta verso di loro.
Il direttore del museo però non era d’accordo: secondo lui il museo non può essere ritenuto responsabile per il comportamento di terze parti, non ha diritto di intervenire nei rapporti di lavoro tra i membri di una coop esterna e i membri di un’ azienda.
Se accettiamo questo principio, però, qualsiasi grande azienda può sentirsi libera di fare come meglio crede e fare finta di niente.
È stato molto triste sentirmi chiamare megalomane e sentire insulti verso quello che stavamo facendo.
È stato anche detto che non ho voluto incontrare i lavoratori; non è vero: io volevo andare al festival per presentare il film ma hanno ritirato l’invito ed è stato davvero un peccato.
La questione importante non è andare o non andare al festival, ma le persone che lavorano in un periodo di grande disoccupazione.”

La parte degli angeli
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D. Come mai lei e Paul Laverty avete scelto di lavorare su una commedia, avevate bisogno di leggerezza?

R. “Il film precedente era molto duro e riguardava la guerra in Iraq. Abbiamo pensato che era ora di sorridere, di parlare dei tantissimi giovani in tutta Europa che non hanno un lavoro nè un futuro.
Abbiamo pensato che il modo migliore era raccontare nel complesso il loro personaggio.
Quando passiamo del tempo insieme ai giovani, loro sono molto divertenti, hanno energia, ironia, grandi idee.
Cercavo una storia in cui potevamo ridere con loro piuttosto che vederla come una storia triste; e Paul ha così avuto l’idea di introdurre il whiskey che, anch’esso, è pieno di contraddizioni.
Il Whiskey è la bevanda simbolo della Scozia, ma è molto costosa e i giovani non possono permettersela e quindi si ubriacano con altro.
Inoltre, l’arte della distillazione del whiskey è un’arte raffinata e il linguaggio che si utilizza per descriverla è pretenzioso, esattamente come succede per i vini raffinati, ed è a volte anche troppo stravagante ed eccessivo per loro.”

La parte degli angeli
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D. Cinema sociale: lei è forse l'ultimo regista?

R. “Credo ci siano molti registi che sono interessati a ciò che accade nel mondo, ma lo spirito dell’epoca è molto diverso da come era negli anni ’50-’60.
Ora si dice che tutto dipende dal mercato, bisogna essere imprenditori, molti di loro trasformano le loro idee adattandole a ciò che il mercato desidera; ma ciò non vuol dire che non sono impegnati o interessati a ciò che accade.
Ci sono molti giovani cineasti che prendono contatti con noi per chiedere come realizzare i film. Ma i problemi ci sono essenzialmente con chi finanzia i film, non con i cineasti.
Come vediamo da tanti movimenti come #occupy, la preoccupazione c’è solo che spesso non viene riflesssa nel cinema.
Le grandi multinazionali hanno bisogno della disoccupazione di massa per mantenere basso il costo del lavoro: condizione necessaria per il capitalismo.

Abbiamo bisogno di un motore che permetta di contrastare l’ortodossia che il mercato sia l’unica strada percorribile.
Non penso che al momento ci sia una forza politica di centro-sinistra.
Non si puo stare al centro, bisogna ricordare che ad esempio se si è al centro della strada si viene investiti.”

La parte degli angeli
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D. Qual è stato, se c'è stato, il momento più difficile della sua carriera?

R. “Ci sono stati momenti difficili e il più difficile è stato negli anni ’80 quando è arrivata la Tatcher.
Cio che è avvenuto è stato cosi estremo che non sapevo come rispondere a livello cinematografico.
In pochi mesi siamo passati da poco meno di 500mila disoccupati a quasi 3 milioni, le fabbriche chiudevano e i sindacati venivano portati a scioperi che non potevano vincere.
Una situazione incontrollabile.
Noi eravamo nel mezzo della tempesta e in quel periodo ho cercato di fare documentari apertamente dedicati a questioni politiche, era impossibile evitarlo.
Penso di averne fatti circa 6 attraverso la società televisiva.
In un caso uno è stato rifiutato ed è stato trasmesso solo a livello locale, 4 sono stati completamente banditi: mi sono fatto la reputazione di quello che faceva film che non potevano essere trasmessi; mi hanno detto che non ero in grado di dirigere il traffico.”

La parte degli angeli
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D. Ha mai pensato di lavorare fuori dall'Inghilterra, magari esaminando la situazione italiana?

R. “Abbiamo fatto film anche fuori dall’Inghilterra, ma di solito i protagonisti erano inglesi.
Ma se vogliamo esere onesti non so se sarei in grado di raccontare storie che accadono nel resto del mondo
Se vuoi esprimere bene una determinata cultura ne devi fare parte.
Quando lavoro nel mio paese conosco le sottigliezze, le particolarità sia nella lingua che nei rapporti.”

La parte degli angeli
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D. Secondo lei il web può dare una mano a distribuire quei film che non trovano spazio nel mercato per così dire ufficiale?

R. “Noi abbiamo avuto la fortuna di avere un’ottima distribuzione, ringrazio moltissimo la Bim; sono distributori fantastici, ottimi amici.
Siamo particolarmente fortunati, ne sono consapevole.
Non sono la persona più adatta per parlare di questione di distribuzione elettronica, le possibilità sono enormi ma ci sono dei limiti, se non sei molto ricco non puoi finire su uno schermo come qusto ed e un peccato perchè è bello stare con il pubblico e sentire le loro reazioni e risposte. E per i giovani andare al cinema significa uscire di casa.
Realizzare un film è un’industra, una professione, sarei molto dispaciuto se ciò dovesse fallire perchè tutti vedrebbero film solo su internet o home video. Ma d’altra parte comunicare in questo modo e un’idea brillante e dobbiamo essere felici di ciò.”

La parte degli angeli
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