Tra inferno e paradiso: cronaca di un viaggio a Sumatra (1)
Ti mette in difficoltà per poi rivelarsi in tutta la sua bellezza: Sumatra merita di essere esplorata, ma senza improvvisarsi troppo
Sumatra è una destinazione dal gusto blu e verde, e un aroma molto intenso: isole che sono paradisi tropicali e barriere coralline per chi ama il mare, giungla e catene di vulcani attivi e non, per fare trekking in natura, tra animali selvatici e una fitta vegetazione nella quale spiccano ai nostri occhi occidentali molte di quelle che sono le nostre comuni piante… “da appartamento”. La bellezza dei luoghi, tuttavia, il viaggiatore se la deve guadagnare.
Abbiamo scelto Sumatra perché è uno dei territori più intatti ed estremi del Pianeta e allo stesso tempo è poco turistica, una condizione che in realtà, se è ideale per certi versi, sconta la carenza di strutture ricettive che nelle località meno frequentate costringe il viaggiatore a sistemazioni in cui a volte non basta sapersi “adattare”. Questo, unito a difficoltà nei trasporti – va bene che le distanze sono enormi, non ci sono ferrovie e le strade sono difficili da mantenere, con terremoti e alluvioni costanti, ma persino quella che si chiama “Transumatran Highway” è a tratti sterrata! – generale scarsità d’igiene, piogge quasi quotidiane anche se per lo più notturne (“È l’equatore, bellezza” – disse quello) e a una cucina dai gusti decisi e molto ripetitivi (cosa ci vuoi fare, per noi è importante), rendono un viaggio a Sumatra un pochino… stancante.
Ad aggiungersi alle difficoltà c’è una scarsità d’informazioni che non permette, nemmeno volendo, di pianificare un viaggio in modo consapevole. L’unica guida in commercio, il capitolo dedicato a Sumatra della Lonely Planet Indonesia, di cui attualmente è disponibile l’edizione 2010, è sommario e superficiale, con informazioni imprecise che spesso fanno dubitare di un’effettiva visita a questi luoghi da parte degli autori. Sul web pure scarseggiano le informazioni, a meno di non masticare a sufficienza l’olandese. Forse anche per questo abbiamo commesso alcuni “errori” rispetto alla pianificazione dell’itinerario (es. pensare di poter andare alle isole Mentawai alla fine del viaggio, tralasciare il Lago Toba, soggiornare a Bukittingi…), e soprattutto quello, ahinoi davvero fatale e comunque valido per tutti i Paesi islamici, di viaggiare alla fine del Ramadan (Id al-fitr), che per i musulmani è un po’ Natale, Capodanno e Pasquetta tutto insieme: tutti si spostano per raggiungere la famiglia o per andare in vacanza, ed è… il caos!
Sumatra: appunti per i viaggiatori
Sui turisti: Per chi vuole stare alla larga dagli italiani Sumatra è la destinazione ideale: in venti giorni ne abbiamo incontrati solo tre… I pochi turisti in giro – la maggior parte di quelli che abbiamo conosciuto visitava Sumatra dopo precedenti viaggi nelle altre isole indonesiane – era del tipo backpacker ovvero piuttosto “sportivo” e alla mano (forse per questo c’erano pochi italiani?)
Sulla lingua: Waka mana?, dove vai? è la prima domanda che gli indonesiani rivolgono agli stranieri. In pochi a Sumatra parlano inglese, ed è un peccato, perché fare amicizia con i locali sarebbe facilissimo. A volersi impegnare l’indonesiano, di origine malese, è tra le lingue più semplici da imparare, e in poche settimane la maggior parte dei turisti arriva a padroneggiare almeno il glossario del viaggiatore, quando non addirittura qualcosa in più, fino a parlare quasi fluentemente nel caso di soggiorni più duraturi.
Sugli acquisti: Oltre a cibo, alloggi e trasporti non c’è niente da acquistare a Sumatra – si potrebbe discutere di come sia possibile che questa popolazione non esprima niente dal punto di vista artistico, artigianale, della moda o dei tessuti… – e, a differenza di altri Paesi asiatici, trattare è possibile solo in rari casi, quali ad esempio un soggiorno di più giorni nello stesso hotel o losmen (affittacamere) o di servizi “speciali” per turisti, come una gita in barca, ma non, ad esempio, per bus o cibo.
Sul denaro: Arrivare a ragionare “in valuta locale” anziché “in euro” è una bella sensazione cui si arriva per gradi, iniziando il prima possibile a confrontare i prezzi sulla base della nostra esperienza o di quella delle altre persone che incontriamo. Durante tutto il viaggio a Sumatra non abbiamo mai avuto la sensazione che qualcuno stesse cercando di fregarci in quanto turisti occidentali, se non occasionalmente con i guidatori di opelet (furgoncini che effettuano brevi tratte in città o tra località vicine). Difficilmente sarebbe un grave danno dal punto di vista economico, ma essere presi in giro è comunque spiacevole: per evitare che accada si può (tentare di) chiedere a qualcuno quanto costa la tratta prima di salire o agli altri passeggeri. In generale la tratta urbana costa 2000rp a testa (meno di 20 cent), ma a volte potrebbero chiedere un pagamento “da taxi” ai turisti: uno se ne accorge se l’autista fa scendere gli altri passeggeri o non ne preleva quando si è da soli sull’opelet). Meglio avere tagli piccoli di banconote (non vogliono dare il resto) e concordare il prezzo in caso di tratte particolari.
Sulle malattie. In tutti i luoghi dove siamo stati ci hanno detto che non c’è malaria. Piuttosto che fare la profilassi noi abbiamo portato 2 scatole di Lariam da prendere in caso di sospetta malaria e… molto Autan blu (pare che anche assumere vitamina B faccia bene). A prescindere dalla malaria, purtroppo non c’è riparo dalle zanzare la sera al tramonto: sono piccole, non fanno rumore e colpiscono anche attraverso i vestiti. Le camere nei luoghi più turistici normalmente hanno le zanzariere da letto: portarne una come abbiamo fatto noi è inutile perché laddove mancava sul soffitto non c’era mai il gancio. Ci sono farmacie (Apotik) ovunque, quindi non è necessario portare con sé un kit di farmaci. Importante invece fare (prima e durante) una cura con fermenti lattici (enterolactis plus i migliori). Durante il viaggio abbiamo comprato un antibiotico (10000 rp) per una presunta infezione intestinale e il talco mentolato (8000 rp) per alleviare il prurito da punture di zanzare (purtroppo ci siamo riempiti di piccole bolle rosse…)
Sui voli: si arriva a Sumatra, come alle altre isole indonesiane, volando a Kuala Lumpur, Singapore o Jakarta, da dove ci si può spostare (normalmente con voli locali che costano poco) alla prima destinazione. Se preso per tempo il volo può costare intorno agli 800 euro. Noi lo abbiamo preso due settimane prima pagandolo circa 850, ma con Saudi Arabian Airlines che non è il massimo del comfort e fa transito a Jeddah, lo scalo più vicino alla Mecca – basti dire che sul volo di andata dall’Italia dopo il tramonto la stragrande maggioranza dei passeggeri, che erano uomini arabi, si sono lavati, sono rimasti vestiti solo di un asciugamano bianco (l’abito del pellegrino) e hanno intonato un mantra, tutti insieme in coro, per una buona ora e mezzo prima di scendere…
Sul bagaglio: Siamo partiti con due zaini da 7 kg ciascuno per 20 gg. In genere preferiamo non imbarcare il bagaglio, per evitare smarrimenti almeno all’andata, e questo era il massimale di peso della compagnia aerea, che all’inizio ci sembrava limitante ma che in realtà si è rivelato ideale perché è sufficiente a portare tutto il necessario (certo, un paio di bucati van fatti), ma senza troppa fatica quando c’è da metterlo in spalla. Da non dimenticare: attrezzatura da pioggia (k-way, poncio e coprizaino), almeno un paio di pantaloni lunghi per la sera e per la giungla, meglio se con cerniera alla gamba, t-shirt piuttosto che cannottiere per le donne (i musulmani non apprezzano le scollature), sandali di gomma da utilizzare anche come ciabatte, un paio di scarpe da trekking, occhialini, costume, luce frontale e qualche busta di plastica “sigillabile” con cui salvare telefoni e altre ammennicoli tecnologici.
Se dopo queste belle premesse Sumatra ti interessa ancora… tra una settimana qui il racconto del viaggio!