Live non è la d’Urso, Giovanni Rezza: “dobbiamo diventare un po’ asociali”

Live non è la d'Urso, parla il direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, Giovanni Rezza: "è successo qualcosa che non doveva succedere"

Il Nord Italia è stato blindato e la diffusione del Coronavirus sembra non volersi fermare. I medici di tutte le regioni si raccomandano, chiedendo un senso civico e un senso di responsabilità a tutti gli abitanti: “dovete stare a casa, è l’unico modo per rallentare la marcia del virus”. 

Durante la puntata di Live non è la D’Urso, la conduttrice Barbara D’Urso si è collegata con il direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, il dott Giovanni Rezza.

“Non sarebbe dovuto succedere perché effettivamente il modo migliore per arginare la diffusione di questo virus, è creare distanziamento sociale, cioè dobbiamo diventare un po’ asociali per un certo periodo e stare a distanza di almeno un metro dalle altre persone.

Ridurre la mobilità, anche perché è chiaro che se noi viviamo in una zona che è ad alto rischio, quindi nelle zone rosse e ce ne andiamo via, andando verso altre aree del paese, rischiamo di portare anche a distanza questa infezione. Di per sé, nella maggior parte dei casi, il virus decorre in maniera abbastanza asintomatica o con pochi sintomi, però in una certa percentuale di casi, anche in modo grave, soprattutto nelle persone più anziane e nei malati cronici. Insomma diciamo che le persone testate, circa il 5-10% può ammalarsi in maniera grave, quindi se il virus corre troppo e corre troppo velocemente, insorgono tanti casi, tutti in un momento durante il quale si rischia la paralisi degli ospedali. Queste persone hanno bisogno di assistenza e di andare magari in terapia intensiva e non trovano l’assistenza che dovrebbero trovare”.

Giovanni Rezza ha poi sottolineato il fatto che in questo modo non c’è assistenza nemmeno per i malati che soffrono di altre patologie o che dovrebbero essere sottoposti a importanti operazioni chirurgiche, perché queste persone non trovano l’assistenza di cui avrebbero bisogno, ne un posto letto in terapia intensiva.

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