Coronavirus la storia della mamma anestesista che non vede le figlie da un mese
Mamma anestesista lontana dalle figlie per combattere il COVID. Ecco il suo racconto.
L’emergenza Coronavirus si è ormai diffusa in tutto il mondo, poiché il numero dei decessi e dei contagi, è arrivato a numeri molto elevati. Poche ore fa è stata resa pubblica la storia di una mamma anestesista, che non vede le sue figlie da più di un mese, chiamata Luciana Impagliazzo.
I medici e tutti gli operatori sanitari, in questo momento sono in prima linea per cercare di combattere il virus e per fare il possibile per aiutare tutti i pazienti.
Questa donna lavora all’ospedale Rizzoli di Lacco Armeno, ad Ischia e da quando c’è stato il primo paziente positivo al Covid, che ha dovuto intubare, ha deciso di non tornare a casa.
“L’ho fatto per la loro sicurezza: non sarei mai stata tranquilla a tornare da loro, alla fine di ogni turno. Se questa è una guerra, dovevo andare in trincea senza pensieri, dedicandomici completamente. Non potevo concedermi il lusso di tornare a casa e di essere impaurita di poter contagiare le persone a cui voglio bene.
E’ dura, lo ammetto. Non mi pesa essere in rianimazione con i pazienti positivi, ma non è facile rinunciare al contatto con le mie figlie quando sono a riposo.”
Questa giovane mamma, da circa un mese vive in una depandance di Forio. Qualche giorno fa, per salutare le sue due bambine Lara ed Eva, di sette e nove anni, ha deciso di scrivere sulla sua tuta di protezione integrale anti-contagio, i loro nomi, con un cuore ed al centro la parola “Mamy”. Ha continuato poi il suo racconto, dicendo:
“A Lara ed Eva ho dovuto dire che non mi avrebbero vista per qualche giorno. Come hanno reagito? Mi hanno chiesto perché abbia deciso di fare la dottoressa: ho detto che era quello che ho sempre voluto, sin da quando avevo la loro età. E che c’è sempre bisogno che aiuta chi sta male, oggi ancora di più. Da allora hanno iniziato ad incoraggiarmi, tutti i giorni, merito anche di un papà formidabile.
Mi chiamano in continuazione, ci siamo attrezzati con Skype e con una webcam puntata su di loro a ogni ora della giornata. Non è la stessa cosa, intendiamoci, e spero che finisca presto. Mi manca il contatto fisico!”
Una storia che non è isolata, poiché molti operatori sanitari, hanno deciso di isolarsi per proteggere i loro familiari.
Fonte: La Repubblica