Elena Santarelli: le prime parole dopo il suicidio dello zio
Elena Santarelli rompe il silenzio. Ecco le prime parole dopo il suicidio dello zio
Elena Santerelli rompe il silenzio sulla drammatica vicenda che l’ha coinvolta in questi giorni: il suicidio dello zio. Le sue prime parole sono toccanti e fanno riflettere l’opinione pubblica. Ecco cosa ha scritto la showgirl
Elena Santarelli ci tiene a precisare che la pubblicazione della lettera non è stato un gesto casuale, e dato dall’istinto, la showgirl ha solo voluto rispettare le volontà di suo zio
“In un passaggio diceva: fate qualcosa sui giornali. Ho chiesto il permesso a zia, la sorella di mamma. Si sono battuti tutta la vita per una legge che aiutasse chi deve convivere per sempre con una persona con gravi disabilità. Daniela è nata nel 1982, la Prader Willi non si conosceva. Nel ’94 andò in pensione anticipata e divenne caregiver (chi vive assistendo un parente). Era l’ombra di Daniela. Non può stare sola neanche un minuto.”
Elena Santarelli inoltre ha voluto lanciare un messaggio forte, di impatto e pieno di commozione alla politica italiana perché si faccia qualcosa per tutte le persone che vivono nelle condizioni in cui ha vissuto suo zio:
“Zia si batte da anni per la legge sui Caregiver: quella di febbraio è tutto fumo e niente arrosto. Il problema non è solo economico. Si sentono lasciati soli dallo Stato. Non ci sono abbastanza strutture adeguate che permettano ai genitori di respirare. Non c’è l’assistenza di una persona formata che viene a casa. Daniela ogni tanto può andare al Centro Armonia a Latina, sovvenzionato dalla Regione, ma c’è una lista di attesa imbarazzante. Se un caregiver non si cura viene logorato, lo stress può uccidere a livello cerebrale. Mia zia, come tanti altri genitori, è agli arresti domiciliari. Vivono in galera, senza vacanze né cene fuori.”
Grazie alla malattia di suo figlio Giacomo, Elena Santarelli ha potuto capire tante cose
“Andavo in ospedale a fare file e le chemio con mio figlio, però ero una caregiver momentanea. Altri sono segnati a vita. L’ho sempre detto a zia: quando è stato diagnosticato il tumore a mio figlio avevo una soluzione, loro no. Crescere con mia cugina disabile in casa mi ha reso diversa: è una grande scuola, una grande palestra di vita. Pur avendo un figlio con un tumore cerebrale mi dicevo: quanto meno possiamo provarci, a tornare alla normalità.
Capisce? Mio figlio è nato sano: abbiamo avuto un intoppo e si poteva risolvere o meno. Ringraziando Dio e la medicina l’abbiamo risolto. Quindi mi lamento poco! Si deve smuovere la politica. Ho visto genitori dormire in auto, mangiare una banana per non spendere alla mensa. C’è chi si è indebitato per curare i figli.”