Renato Scarpa, storico attore italiano, è morto a 82 anni
Indimenticabili i suoi ruoli in alcuni dei film di maggiore successo degli anni 70 e 80: l'Italia del cinema saluta il grande Renato Scarpa
Nella giornata di ieri il mondo del cinema italiano è stato scosso dalla notizia dell’improvvisa morte di Renato Scarpa. L’attore, che ha fatto la sua fortuna negli anni ’70 e ’80, si è spento all’età di 82 anni nella sua casa di Roma, sembrerebbe a causa di un malore che lo ha colpito all’improvviso. Decine i messaggi di cordoglio comparsi sui social network da parte di ex colleghi, amici o semplici fan.
Renato Scarpa era nato a Milano il 14 settembre del 1939. Il suo esordio sul grande scherzo è arrivato alla fine degli anni sessanta. Più precisamente nel 1969, quando recitò nel film intitolato “Sotto il segno dello scorpione”, sotto la regia di Paolo e Vittorio Taviani.
Nel 1972 recitò poi nel film “Nel nome del padre”, diretto dal grande Marco Bellocchio e interpretando il severo Padre Corazza. Nel 1973, invece, tornò sotto la direzione dei fratelli Taviani nel film “San Michele aveva un gallo”.
Nel 1977, cambiando totalmente genere, riuscì perfettamente anche nel ruolo del misterioso professor Verdegast nell’inquietante “Suspiria” diretto da Dario Argento.
Sono decine e decine i film e le serie tv di grandissimo successo in cui Renato Scarpa ha recitato nel corso della sua carriera. Stesso discorso vale per le numerose collaborazioni con artisti di caratura mondiale. Menzionarli tutti sarebbe quasi impossibile.
I ruoli a cui Renato Scarpa era maggiormente affezionato
Se si dovessero scegliere i ruoli a cui ‘Renatino’ è stato più legato, non mancherebbero certo il dottor Cazzaniga in “Così parlò Bellavista” (1984) e in “Il mistero di Bellavista” (1985), l’ipocondriaco Sergio in “Un sacco bello” di Carlo Verdone (1980) e soprattutto il complessato Robertino in “Ricomincio da tre” (1981) di Massimo Troisi.
Proprio a riguardo di Troisi, Scarpa in una delle sue ultime interviste aveva detto:
Io non feci altro che pigiare sulla mia autobiografia di figlio unico di madre vedova e orfano di guerra e nacque il personaggio di Robertino, che mi fece sentire per la prima volta celebre. Lavorare con Massimo è stata una grande fortuna. È stato un dono per me potergli stare vicino, lo considero un regalo che mi ha fatto la vita. Massimo era un inusuale e limpido professionista, ma prima di tutto un uomo dallo sguardo trasparente. Ebbi subito per lui una grandissima simpatia, ci intendemmo immediatamente.