Giovanni Rezza, direttore malattie infettive dell’Iss: “quando si riaprirà, il virus potrebbe tornare”

Giovanni Rezza, direttore del reparto Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, interviene riguardo la fase 2. Ecco cosa potrebbe succedere dopo la riapertura.

La domanda che in questo momento la maggior parte degli italiani si sta ponendo, riguarda cosa succederà una volta superata la data del lockdown, una volta che si potrà tornare in giro per le strade, una volta che si tornerà a stare a contatto con le altre persone. Sull’argomento è intervenuto Giovanni Rezza, il direttore del Dipartimento delle Malattie Infettive dell’Istituto Superiore della Sanità, in un’intervista alla testata giornalistica Il Corriere della Sera:

“Non bisogna correre troppo. Quando si deciderà di riaprire lo si dovrà fare con gradualità. Per me siamo ancora nella fase 1. Il trend mostra miglioramenti, modelli matematici ci dicono che la trasmissione si sta riducendo, ma il numero delle persone infette rimane elevato e anche i decessi.

Con questo dico che le regioni possono agire con ordinanze proprie, ma se alcune attività dovessero ripartire, spero che lo facciano con tutte le precauzioni del caso. Perché il virus non sparirà per magia“.

Giovanni Rezza ha sottolineato il fatto che quando si ripartirà, il virus potrebbe tornare a colpire e a dare vita a nuovi focolai. Se ciò dovesse accadere, bisognerà immediatamente chiudere le zone, per evitare che il virus si diffonda nuovamente.

“Dobbiamo essere 10 volte più pronti di prima nei confronti dei nuovi focolari. Per adesso siamo sotto una campana di vetro, nel grembo materno dell’isolamento sociale, ma nuovi focolai ci saranno, quindi andranno rafforzati i dipartimenti di prevenzione delle Asl e andranno trovate delle nuove risorse umane”.

Il direttore del dipartimento malattie infettive dell’ISS, ha sottolineato il fatto che per lui il rischio per poter riaprire, dovrebbe essere zero, ma è consapevole del fatto che la situazione stia diventando insostenibile.

A dare una mano a contrastare la situazione saranno i test sierologici, che però non daranno nessuna patente di immunità.

“I test ci aiuteranno a stabilire la sieroprevalenza, cioè a farci capire dove si trova il virus e quanto si è diffuso”.