Omicidio Yara Gambirasio, DNA manomesso: indagati giudice e funzionaria tribunale di Bergamo

Le prove contenenti il DNA che hanno portato alla condanna di Bosetti potrebbero essere manomesse, altri due indagati nell'omicidio di Yara Gambirasio

Nel corso delle ultime ore sono giunte le ultime notizie relative all’omicidio di Yara Gambirasio. La Procura di Venezia ha deciso di scrivere nel registro degli indagati un giudice e una funzionaria del tribunale di Bergamo. Il DNA del presunto assassino potrebbe risultare manomesso. Scopriamo insieme cosa è successo nel dettaglio.

Giovani Petilli, il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo e Laura Epis, la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato sono finiti nella lista degli indagati. Le accuse dei due sono relative alle prove contenenti il DNA del presunto assassino rinvenuto sul corpo di Yara Gambirasio.

Gli avvocati di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno più volte richiesto di accedere senza ottenere consenso alle prove contenenti tracce di DNA attribuite al muratore di Malpello. A denunciare il fatto sono stati gli stessi difensori di Bossetti secondo i quali qualcuno potrebbe aver manomesso le 54 provette di DNA.

Stando a quanto riporta il “Corriere Della Sera”, i due indagati sarebbero accusati di frode in processo e depistaggio in merito alle prove che hanno condotto alla condanna di Massimo Bossetti. Secondo i legali di quest’ultimo:

Il materiale confiscato sia stato conservato in modo tale da farlo deteriorare’ vanificando la possibilità di effettuare nuove indagini difensive.

Omicidio Yara Gambirasio: le parole di Claudio Salvagni

Tra i testimoni ascoltati c’è la pm Letizia Ruggeri, titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Yara Gambirasio. Queste sono le parole riportate dall’avvocato Claudio Salvagni:

Pendono altri due ricorsi in Cassazione per ottenere l’autorizzazione a riesaminare quei reperti, che però ancora non sappiamo in che condizioni siano e che tipo di danni possano aver subito trasferendoli dall’ospedale San Raffaele, dove erano custoditi inizialmente, ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato. L’obiettivo della denuncia è proprio di sapere se sono ancora utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di ‘Ignoto 1′.